30 luglio 2010

L'alto prezzo della resistenza nonviolenta a Bi'lin: una famiglia martoriata da arresti e ruberie israeliane.

Betlemme – Maan. Una corte israeliana ha deciso il rilascio di un palestinese, residente del villaggio di Bi'ilin e figlio di un attivista locale. Il rilascio è avvenuto dietro il pagamento di 2.600 $ di cauzione e la notizia viene resa nota dal Comitato popolare.
Insieme alla notizia, il Comitato di Bi'ilin ha lanciato un appello perché la situazione in cui verte la cittadina non passi inosservata, assieme ai soprusi ai quali tutta la comunità è sottoposto a causa della costruzione del Muro di Annessione.
Ahman Burnat ha 17 anni ed è figlio di Waheeh, comparso in un noto documentario 'Bi'ilin Habibty' (Bi'ilin amore mio, 2006).
Il ragazzo era stato sequestrato dalla propria abitazione il 19 luglio scorso e, da allora, il comitato ha svolto un ruolo attivo nella ricerca dei fondi per la sua liberazione.
La storia della famiglia Burnat ha dei precedenti tragici: nel 2000, il fratello di Ahmad, Rani restò paralizzato da un proiettile che gli trafisse il collo. Il fatto accadde nel corso di una manifestazione, e subito dopo, Israele revocò il permesso di lavoro al padre.
Nel 2002, con l'avvio della Costruzione del Muro di Annessione, la famiglia perse il terreno agricolo di proprietà.
Oltre ad Ahmad, un terzo fratello, Ibrahim, fu arrestato nel 2002 e, anche per la sua liberazione, la famiglia dovette pagare un'ingente somma di denaro.
L'appello del Comitato di Bi'ilin oggi, si estende a tutti, perché arresti e necessità finanziarie per la liberazione dei suoi residenti rendono sempre più ardua la resistenza non violenta adottata dal villaggio palestinese.
Fonte: http://www.infopal.it

LA CRISI GLOBALE CONTINUA

 di O. Pesce
Dopo l'esplosione di una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, la British Petroleum (una delle storiche Sette sorelle) ha provato tutte le  “strategie” per recuperare il petrolio in barba ai dilaganti danni ambientali e  infarcendo di promesse di rimborso tutti i suoi comunicati, mentre il presidente USA si è trovato a doverla rincorrere e minacciare senza ottenere  nulla e subendo un vistoso calo di popolarità. 
Sia il G8 che il G20 si sono conclusi con un nulla di fatto: gli aiuti ai  paesi poveri sono sempre più ridotti di quanto promesso, la politica di contenimento della crisi sbanda tra le proposte di Obama – indebitarsi per  sostenere la produzione – e quelle tedesche – stringere i cordoni delle finanze pubbliche. I tentativi di tassare la finanza speculativa sono destinati al fallimento. Tra i paesi emergenti c'è una concorrenza sempre più forte per conquistare  spazi nei mercati globalizzati, ma con il calo dei consumi nelle economie avanzate e l'ulteriore impoverimento dei paesi poveri ci sono segnali che si  possa giungere a una crisi di sovra produzione. In Europa la crisi colpisce sempre più duramente le strutture produttive e  l'occupazione, mentre i governi sono impegnati in manovre per tenere sotto  controllo i debiti pubblici, per cercare di contenere i danni provocati dai  poteri finanziari (banche, borse, società finanziarie, fondi, agenzie di  rating) che stanno speculando con un certo successo contro l'euro e contro i  paesi più indebitati e deboli dell'Unione Europea e dell'area euro: i  cosiddetti PIGS (Portogallo Irlanda Grecia Spagna). I prestiti si limitano a rinviare i problemi senza risolverli.

La Guerra di Mr. Obama

Il maggiore teorico classico della guerra Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz riteneva che la guerra moderna fosse un “atto politico“, e questa considerazione metteva in gioco quanto egli stesso stimava come l’unico elemento razionale della guerra. Secondo la sua idea, gli altri due elementi della guerra sono: a) l’odio, l’inimicizia e la violenza primitiva e b) il gioco d’azzardo e le probabilità. “Il primo di questi tre elementi – scriveva – riguarda principalmente il popolo; il secondo, il comandante in capo e il suo esercito e il terzo, unicamente il governo. Le passioni che vanno scatenate nel corso di una guerra devono esistere già prima nei popoli da essa coinvolti; la portata che avranno il talento e il valore in gioco nel dominare le probabilità del caso dipenderà dalla tempra del comandante in capo e dell’esercito;  gli obiettivi politici, certamente, saranno di competenza esclusiva del governo.”

29 luglio 2010

La vita quotidiana nel campo profughi palestinese di Ein el-Hilweh

Dalla  brigata 2010 di Sumud
Ein El-Hilweh – Libano meridionale, 27/07/10
Dopo 5 giorni siamo già entrati a pieno ritmo nella vita del campo. E' difficile spiegare l'atmosfera da cui siamo circondati. Per noi, in fondo, anche se non ci stiamo risparmiando, anche se lavoriamo, sudiamo, non dormiamo, questo viaggio ha comunque una fine. Ma la gente che resta?
Le persone che vivono qui e che qui sono state spinte a forza, come fanno? Vivere dentro un campo profughi vuol dire innanzitutto che è preclusa ogni possibilità di vita degna di tale nome. Le cose che non si possono fare o avere sono tantissime. Se sei giovane, e vuoi studiare, qui c'è solo la scuola dell' UNRWA (Agenzia per il soccorso e l'occupazione dei profughi Palestinesi), che non garantisce niente.

Retroscena sulla disintegrazione dell’ex Yugoslavia. Una lezione per l’oggi

Con questa riflessione su come è avvenuta la disintegrazione della Yugoslavia, o meglio, come è stata gestita, e da chi è stata pilotata la strategia di smembramento della Yugoslavia, voglio porre l’attenzione sul fattore politico delle scelte economiche, e sull’impossibilità politica delle scelte economiche quando non si è messi in condizione di farlo.
Oggi, le tradizionali lotte e rivendicazioni sono, consapevolmente per chi le gestisce e inconsapevolmente per chi non ne conosce gli obiettivi, pure maschere per nascondere e distogliere la vera posta in gioco del cambiamento possibile. Gli stati esercitano le loro funzioni come e meglio di sempre, la globalizzazione non significa affatto che un governo sopranazionale ha reso gli stati inutili o marginali; piuttosto gli stati hanno adottato una tecnica a schermata, capace di rendere possibili politiche sociali ed economiche altrimenti gravose da far digerire e, soprattutto funzionali alla strategia politica imperialistica degli Usa.
Quello che sta avvenendo oggi, nel 2010, a livello economico è la conseguenza di determinate scelte politiche nazionali che dovrebbe indurci a riconsiderare alcune categorie del politico troppo a lungo ritenute marginali e che invece sono il cuore del problema.

BP E' UNA BOMBA AD OROLOGERIA PER IL SISTEMA FINANZIARIO INTERNAZIONALE!

BP è una bomba a orologeria per il sistema finanziario. L'azienda si rifinanzia con i derivati su crediti e fondi pensione che ora, e purtroppo per i loro clienti, sperimentano gravi perdite. Due elementi centrali come obsoleti dell'attuale capitalismo, un'economia basata sulle energie fossili e la speculazione finanziaria su scala planetaria, ci portano diritto alla prossima catastrofe.Quella che era iniziata come una crisi finanziaria globale a settembre 2008, con l'irreversibile crollo della banca statunitense Lehman-Brothers, può ora entrare nel turno successivo con la prevedibile caduta della BP. La multinazionale britannica è una bomba finanziaria ad orologeria, non solo per la Gran Bretagna, ma soprattutto per il Regno Unito. Il costo del disastro petrolifero nel Golfo del Messico per BP è stimato in circa 70.000 milioni di dollari.


Per i britannici, la BP è qualcosa come una istituzione nazionale, la più grande azienda del paese, la blue chip più brillante del mercato dei valori londinense. Molti credono che la BP è una compagnia petrolifera. Ed è vero. BP fornisce petrolio e gas naturale, ed ha oleodotti e raffinerie distribuite in tutto il mondo. Ma BP è al tempo stesso una società finanziaria, una banca con raggio d'azione internazionale, comeEnron o General Motors, opera nei mercati finanziari internazionali.

Obiettivo Hugo Chavez


di Fabrizio Casari
Delicata. O, addirittura, pericolosa. Sono due delle possibili definizioni per la crisi diplomatica e politica tra Venezuela e Colombia. Datano già alcuni giorni, da quando cioè il governo di Bogotà ha accusato senza mezzi termini Caracas di dare ospitalità ai guerriglieri colombiani delle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e dell’Eln (Ejercito de Liberacìon Nacional) sul suo territorio.

Lo ha fatto nel corso di una riunione dell’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani. Niente di nuovo, Uribe aveva fatto in precedenza le stesse accuse all’Ecuador di Correa. Bogotà ha anche annunciato che denuncerà il Venezuela davanti alla Corte Penale internazionale per l'accoglienza che riserva sul suo territorio ed esponenti delle FARC e accusa per questo Caracas di perpetrare “crimini contro l'umanità”.

Gaza, guerra al futuro

Ancora bambini tra le vittime dell'ultima incursione israeliana, con uso di armi proibite
"E' improvvisamente corsa dentro casa e si inginocchiata al centro del stanza dove stavamo tutti. Non avevamo capito fosse ferita, fino a quando non ha iniziato a vomitare fiotti di sangue dal naso e dalla bocca. I suoi fratelli erano immobili dinnanzi a lei, terrorizzati". 
Dopo il massacro della famiglia Abu Said, che settimana scorsa ha portato all'uccisione di una madre di cinque figli e il ferimento di altri tre civili, l'esercito israeliano ha esercitato ancora una volta l'uso di armi proibite contro la popolazione della Striscia di Gaza.
Secondo la ricostruzione basata sulle dichiarazioni dei testimoni, mercoledì 21 luglio, verso le ore 16, a Beit Hanun, guerriglieri della resistenza palestinese hanno cercato di respingere un'incursione di mezzi militari israeliani che avevano varcato di circa duecento metri il confine. Il fuoco israeliano ha immediatamente ucciso uno dei miliziani: Mohammed Hatem al-Kafarna, 23 anni, mentre un altro resistente, Qassem Mohammed Kamal al-Shanbari, di anni 20, è deceduto in ospedale per le ferite riportate.
Non paghi di questo, un carro armato dell'Israel Defense Forces (Idf) ha sparato tre proiettili carichi di freccette in varie aeree di Beit Hanun danneggiando delle abitazioni e ferendo otto civili, fra i quali una donna e cinque bambini .
Le freccette, il cui utilizzo in aeree densamente abitate è dichiarato illegale da Amnesty International e dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani, sono piccoli dardi metallici dalla punta acuminata, lunghi 4 centimetri e provvisti di 4 alette nella parte posteriore, con cui vengono caricati i proiettili da 120 millimetri dei carri armati. Quando il proiettile esplode in aria, a 30 metri dal suolo, disperde uno sciame di 5mila-8mila freccette in un raggio conico, investendo un'area larga 300 metri e lunga 100.

28 luglio 2010

Indios, la lunga marcia di transizione

Raúl Zibechi, analista internazionale, mette in parallelo i movimenti indigeni ecuadoriani e boliviani, spiegando i perché della rottura con i rispettivi governi e svelandone la reale meta finale

I processi politici e sociali in Ecuador e in Boliviasono come due gocce d'acqua. Entrambi hanno approvato uno Stato Plurinazionale e nuove costituzioni, ma al momento di applicarle incontrano forti ostacoli. Sono le basi sociali indigene e i settori popolari urbani, che hanno dato il governo a Evo Morales e a Rafael Correa, coloro che stanno opponendo resistenza ai loro stessi governi. In entrambi i casi, i governi hanno optato per l'estrazione mineraria e petrolifera per assicurarsi entrate fiscali, invece di puntare verso il
Buen Vivir come promesso."

Carlo Remeny: Servizi segreti occidentali continuano ad usare la sigla Jundullah per compiere attacchi terroristici in Iran

Giovedì 15 luglio a causa di un dublice attentato avvenuto a Zahedan, capoluogo della regione Sistan e Baluchistan, nel sud-est dell’Iran, 27 persone hanno perso la vita e circa 200 sono rimaste ferite. A questo proposito parliamo conCarlo Remeny, direttore dell'agenzia d'informazione Arabmonitor.
Gli attentati sono stati rivendicati dal gruppo Jundullah con la base in Pakistan, mentre il presidente iranianao Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato che la responsabilità delle operazioni terroristiche a Zahedan ricade su servizi segreti di Usa, autorità della Nato ed Intelligence pachistana. Lei che ne pensa?
Jundollah è un'organizzazione che da divresi anni rivendica attentati terroristici in Iran e le loro basi - come si sa - si trovano da tanto tempo nel Pakistan perché arrivano da questo paese e poi si rifugiano lì. Quindi questo è assolutamente verosimile che loro abbiano delle basi e un'assistenza sul territorio pachistano e poi la cattura del capobanda Abdolmalek Righi a febbraio e i suoi interrogatori hanno dimostrato che Rigi era in stretto contatto con le forze americane e con quelle della Nato sia in Afghanistan che anche al di fuori della regione tanto vero è che quando Rigi è stato catturato mentre era in volo verso il Kirghizistan dove aveva in programma di incontrare i funzionari degli Usa presso una base militare americana nel paese asiatico. Del resto ci sono anche i servizi dei media statunitensi di due-tre anni fa che parlavano di un sostegno dei servizi segreti di questo paese a Jundullah, quindi mi sembra assolutamente fondato quello che il presidente Ahmadinejad ha detto.

Faluya: Anatomia di un genocidio

[Estratto]
David Rothscum
DavidRothscum.blogspot.com

Oggi, 6 luglio 2010, è stato pubblicato lo studio di Chris Busby, Malak Hamdan ed Entesar Ariabi sulla situazione sanitaria di Faluya. Lo studio è disponibile gratis all’indirizzo internet: http://www.mdpi.com/1660-4601/7/7/2828/. Forse non li conoscete ma i loro nomi potrebbero entrare nei libri di storia, perché quelle persone hanno raccolto le prove scientifiche del genocidio [*] che sta patendo la popolazione di quella città in conseguenza dell’invasione imperialista dell’Iraq.

Le Armi Climatiche: non solo una teoria del complotto?

Il tempo anormalmente caldo nelle regioni centrali della Russia, ha già causato gravi danni economici. Ha distrutto i raccolti in circa il 20% dei terreni agricoli del Paese, con il risultato che i prezzi alimentari chiaramente saliranno il prossimo autunno. In aggiunta a ciò, incendi sono esplosi nelle torbiere attorno a Mosca. In questi giorni, la maggior parte delle previsioni riguardanti il clima sono allarmanti: siccità, uragani e inondazioni saranno sempre più frequenti e gravi. Il direttore del programma energetico e climatico del Wildlife Fund, A. Kokorin, dice che l’attuale tendenza non è un fenomeno casuale e non si prevede che debba scemare (1).

In questo particolare contesto, la credibilità delle proiezioni provenienti dal Wildlife Fund, un influente organismo internazionale che esegue operazioni in tutto il mondo riguardanti i programmi di protezione dell’ambiente, è fuori discussione (2). Il motivo è che il riscaldamento globale che è oggetto di accesi dibattiti accademici (o, occasionalmente, assolutamente non accademici) non è necessariamente un processo incontrollato. Almeno, l’incidenza delle correnti temperature insolitamente elevate, esclusivamente in Russia e in alcuni territori adiacenti, invita a spiegazioni alternative.

27 luglio 2010

Colombia (Stato colonia Usa) punta di lancia della destabilizzazione Nord Americana

Il Primo mandatario venezuelano, Hugo Chavez Frias ha annunciato ufficialmente la rottura delle relazioni diplomatiche tra le due nazioni latino americane.

E’ stata questa la legittima reazione di Caracas dopo i continui attacchi diplomatici che il governo filo statunitense di Bogotà aveva lanciato in questi giorni contro il Venezuela, reo a suo dire di ospitare nel suo territorio truppe delle Farc e alcuni suoi comandanti. Tra le misure che la Colombia intenderebbe prendere a livello internazionale è una possibile denuncia alla Corte penale internazionale contro il governo di Caracas.

La rottura non giunge inaspettata a un attento esame dell’attuale situazione Sud Americana, che vede come sempre gli Stati Uniti gli occulti,ma non troppo, registri di quanto accaduto.

ISRAELE, MIGLIAIA DI FIGLI DI IMMIGRATI RISCHIANO ESPULSIONE

Il governo Netanyahu ha cominciato ieri una discussione sui provvedimenti da adottare. Il ministro dell’interno Yishai vuole la politica del pugno di ferro.

Gerusalemme, 26 luglio 2010, Nena News – Con decine di bambini di tanti paesi, specie africani, con cartelli e striscioni che manifestavano fuori dalla sede del governo, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha avviato ieri la discussione nel consiglio dei ministri sullo status legale dei figli degli stranieri. Si tratta di migliaia di bambini e ragazzi che in molti casi sono cresciuti in Israele ma che ugualmente rischiano l’espulsione dal paese sulla base delle leggi anti-immigrazione fatte approvare dal ministro dell’interno Eli Yishai, un religioso ortodosso leader del partito Shas.

Il primo ministro ha illustrato la proposta di una commissione che prevede la concessione del permesso di residenza ai bambini che sono giunti in Israele quando avevano meno di tredici anni e risultano iscritti a una delle scuole statali. Tutti gli altri dovranno andare via. Netanyahu da un lato ha espresso comprensione per la situazione di tanti ragazzi ed manifestato il desiderio di «assorbirne» una parte. Dall’altro, ha spiegato subito dopo, «vogliamo preservare una maggioranza ebraica, tale da assicurare allo Stato di Israele il suo carattere ebraico». Su questo ultimo punto batte da lungo tempo il ministro Yishai, che negli ultimi anni ha scatenato una campagna massiccia contro lavoratori stranieri e migranti. Già la scorsa estate 3 mila minorenni avevano rischiato d’essere allontanati dal paese ma il provvedimento caldeggiato da Yishai venne fermato all’ultimo istante per le pressioni di alcune associazioni per i diritti civili e per l’intervento di diversi parlamentari.

Base militare israeliana in Arabia Saudita!



Dopo che nei giorni scorsi il principe saudita Mohamed Ben Nawaf ha smentito le informazioni del Times di Londra in relazione al corridoio aereo che i sauditi avrebbero concesso per l’attacco preventivo all’Iran, vari quotidiani e siti arabi sostengono che nella località di Tabuk sono iniziati i lavori per la prima installazione militare israeliana in territorio saudita, a riddosso del confine con la Giordania.
La base sarebbe diretta per un’appoggio logistico alle truppe aviotrasportate israeliane e rappresenta un manifesto segnale di appoggio alla politica sionista e dell’imperialismo statunitense.
I reali sauditi avevano già nel recente passato tramato e condotto un lavoro sporco a favore di Israele contro il popolo palestinese, basti ricordare i fatti di Nahr el Bahred in Libano nel 2007,(dove milizie saudite superequipaggiate hanno condotto una vera e propria azione destabilizzatrice a riddosso dl campo profughi palestinese che venne distrutto negli scontri che susseguirono tra le stesse e l’esercito regolare libanese…) e l’operazione piombo fuso a Gaza, finanziata con fondi sauditi.
Certo è che la presenza militare sionista aprirà non poche contraddizioni in un momento storico in cui i barili di polvere da sparo, sono copiosi e disseminati in ogni angolo del Medio Oriente. Se la notizia verrà confermata in Arabia Saudita abbiamo un principe idiota che ha acceso un cerino.

di Marco Zoboli





Possibile attacco israeliano contro il Libano il prossimo autunno


In tre settimane i segnali di pericolo sono proliferati in Libano, e la tensione è aumentata in modo significativo.

Prima c’è stata l’intrusione dei soldati francesi della UNIFIL (UN Interim Force In Lebanon) che, su richiesta di Israele, hanno tentato di irrompere nelle case dei presunti membri della Resistenza per sequestrare le loro armi. La popolazione li ha respinti con pietre e bastoni, ferendone due. La questione è stata sollevata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Mentre queste intrusioni erano state ordinate dal ministro della Difesa francese Hervé Morin, la Francia ha chiesto scusa per voce del Segretario generale della Presidenza, Claude Guéant.

Per prevenire una recidiva, Hezbollah ha affisso manifesti in francese destinati ai soldati francesi. Vi si legge: “La mano che toccherà le armi della resistenza sarà tagliata.”

26 luglio 2010

Marchionne ai "suoi sottoposti" 9 luglio

Lui il 9 luglio voleva "parlare apertamente", gli stava a cuore...... Lui vuole costruire in Italia qualcosa di duraturo, Lui è tornato in Italia con una missione da compiere e lo vuole fare con il progetto "Fabbrica Italia", ossia licenziare gli operai di uno stabilimento, vedi Pomigliano, e farli assumere dalla Società Fabbrica Italia, al di fuori del Contratto Nazionale, con tutte le deroghe che Lui ha deciso!
Beh si, mi sembra proprio che gli stia a cuore che l'Italia "cresca, rafforzi le proprie radici e possa creare nuove opportunità di lavoro", del resto mica è colpa sua se nel mondo c'è il capitalismo e le cose vanno così, no? Ma non è neanche colpa nostra!
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e Lui è un duro!

Che volete, se Lui decide di andare in Serbia, che ci possiamo fare? Lui è Lui! Poi, detto tra noi, con tutto quello che hanno subito i Serbi da noi italiani (vero D'Alema?) anche la Fiat... non se la meritano proprio..... tra le altre cose perché solo 1/3 dei fondi sarà di Fiat, il resto del Governo Serbo e della Banca Europea degli Investimenti, della serie il lupo perde il pelo ma non il vizio: spremuta l'Italia..... tocca ad altri! (vedi: FIAT: CAVALLO DI TROIA DEGLI AMERICANI)

E anche se il nome vuol dire Fabbrica Italiana Automobili Torino, la Fiat adesso  "è una multinazionale che opera sui mercati di tutto il mondo"..... MULTINAZIONALE!!!! Lui già lo disse un po' di mesi addietro, ma non venne creduto......  vogliamo imparare come vengono gestite le cose nel resto del mondo, cribbio?!
Insomma Lui è buono, noi dobbiamo sforzarci.... non ci sono alternative!
Che lo sforzo sia con voi.......


Questo il testo della lettera di Marchionne:


Sergio Marchionne
Amministratore Delegato
Fiat S.p.A.
Torino, 9 luglio 2010
A tutte le persone del Gruppo Fiat in Italia
Scrivere una lettera è una di quelle cose che si fa raramente e solo
con le persone alle quali si tiene veramente.
Se ho deciso di farlo è perchè la cosa che mi sta più a cuore in
questo momento è potervi parlare apertamente
, per condividere
con voi alcuni pensieri e per fare chiarezza sulle tante voci che in
questi ultimi mesi hanno visto voi e la Fiat al centro dell’attenzione.
Non è la Fiat a scrivere questa lettera, non è queIl’entita astratta
che chiamiamo “azienda” e non è, come direbbe qualcuno, il
“padrone".
Vi sto scrivendo prima di tutto come persona, con quel bagaglio di
esperienze che la vita mi ha portato a fare.
Sono nato in Italia ma, per ragioni familiari e per motivi di lavoro,
ho vissuto all’estero la maggior parte dei miei anni e conosco bene
la realtà che sta al di fuori del nostro Paese. Ed è questa
conoscenza che sto cercando di mettere a disposizione della Fiat
perché non resti isolata da quello che succede intorno.
Vi scrivo da uomo che ha creduto e crede ancora fortemente che
abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di
grande, di migliore e di duraturo.

Prendete questa lettera come il modo più diretto e più umano che
conosco per dirvi come stanno realmente le cose.
Ci troviamo in una situazione molto delicata, in cui dobbiamo
decidere il nostro futuro. Si tratta di un futuro che riguarda noi tutti,
come lavoratori e come persone, e che riguarda il nostro Paese,
per il ruolo che vuole occupare a livello internazionale.
Basta pensare a quanto è basso il livello degli investimenti
stranieri in Italia, a quante imprese hanno chiuso negli ultimi anni e
a quante altre hanno abbandonato il Paese per capire la gravità
della situazione.
Non nascondiamoci dietro il paravento della crisi.

La crisi ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie,
anche più drammatica la debolezza della struttura industriale
italiana.
La cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado
di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne
direttamente e senza colpa le conseguenze.
Quello che noi abbiamo cercato di fare, e stiamo facendo, con il
progetto “Fabbrica ltalia" è invertire questa tendenza.

l contenuti del piano li conoscete bene e prevedono di concentrare
nel Paese grandi investimenti, di aumentare il numero di veicoli
prodotti in Italia e di far crescere le esportazioni.
Ma il vero obiettivo del progetto è colmare il divario competitivo
che ci separa dagli altri Paesi e portare la Fiat ad un livello di
efficienza indispensabile per garantire all’ltalia una grande
industria dell'auto e a tutti i nostri lavoratori un futuro più sicuro.
Non ci sono alternative.
La Fiat è una multinazionale che opera sui mercati di tutto il
mondo.

Se vogliamo che anche in Italia cresca, rafforzi le proprie radici e
possa creare nuove opportunità di lavoro dobbiamo accettare la
sfida e imparare a confrontarci con il resto del mondo.
Le regole della competizione internazionale non le abbiamo scelte
noi e nessuno di noi ha la possibilità di cambiarle, anche se non ci
piacciono. L'unica cosa che possiamo scegliere è se stare dentro
o fuori dal gioco.

Non c’e nulla di eccezionale nelle richieste che stanno alla base
della realizzazione di “Fabbrica ltalia".
Abbiamo solo la necessità di garantire normali livelli di
competitività ai nostri stabilimenti, creare normali condizioni
operative per aumentare il loro utilizzo, avere la certezza di
rispondere ln tempi normali ai cambiamenti della domanda di
mercato.
Non c’e niente di straordinario nel voler aggiornare il sistema di
gestione, per adeguarlo a quello che succede a livello mondiale.
Eccezionale semmai - per un’azienda - è la scelta di compiere
questo sforzo in Italia, rinunciando ai vantaggi sicuri che altri Paesi
potrebbero offrire.
Anche la proposta studiata per Pomigliano non ha nulla di
rivoluzionario, se non l’idea di trasferire la produzione della futura
Panda dalla Polonia in Italia.

L’accordo che abbiamo raggiunto ha l’unico obiettivo di assicurare
alla fabbrica di funzionare al meglio, eliminando una serie
interminabile di anomalie che per anni hanno impedito una
regolare attività lavorativa.

Proprio oggi abbiamo annunciato che, insieme alle organizzazioni
sindacali che hanno condiviso con noi il progetto, metteremo in
pratica questo accordo.
Insieme ci impegneremo perché si possa applicare pienamente,
assicurando le migliori condizioni di governabilità dello
stabilimento.
So che la maggior parte di voi ha compreso e ha apprezzato
I’impegno che abbiamo deciso di prendere.
Credo, inoltre, che questo non sia il momento delle polemiche e
non voglio certo alimentarle.
Ma di fronte alle accuse che sono state mosse e che hanno messo
in dubbio la natura e la serietà del progetto “Fabbrica Italia”, sento
il dovere di difenderlo.
Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti, non
stiamo violando alcuna legge o tantomeno, come ho sentito dire,
addirittura la Costituzione Italiana.
Non mi sembra neppure vero di essere costretto a chiarire una
cosa del genere. E’ una delle più grandi assurdità che si possa
sostenere.
Quello che stiamo facendo, semmai, è compiere ogni sforzo
possibile per tutelare il lavoro, proprio quel lavoro su cui è fondata
la Repubblica Italiana.
L’altra cosa che mi ha lasciato incredulo è la presunta
contrapposizione tra azienda e lavoratori, tra “padroni" e operai, di
cui ho sentito parlare spesso in questi mesi.
Chiunque si sia mai trovato a gestire un’organizzazione sa bene
che la forza di que|l’organizzazione non arriva da nessuna altra
parte se non dalle persone che ci lavorano.
Voi lo avete dimostrato nel modo più evidente, grazie al lavoro
fatto in tutti questi anni, trasformando la Fiat, che nel 2004 era
sull’or|o del fallimento, in un’azienda che si è guadagnata il rispetto
e la stima sui principali mercati internazionali.
Quando, come adesso, si tratta di costruire insieme il futuro che
vogliamo, non può esistere nessuna logica di contrapposizione
interna.

Questa è una sfida tra noi e il resto del mondo.
Ed è una sfida che o si vince tutti insieme oppure tutti insieme si
perde.
Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una
specie di patto sociale per condividere gli impegni, le
responsabilità e i sacrifici in vista di un obiettivo che vada al di là
della piccola visione personale.
Questo è il momento di lasciare da parte gli interessi particolari e
di guardare al bene comune, al Paese che vogliamo lasciare in
eredità alle prossime generazioni.
Questo è il momento di ritrovare una coesione sociale che ci
permetta di dare spazio a chi ha il coraggio e la voglia di fare
qualcosa di buono.
Sono convinto che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e
peri nostri nipoti un futuro diverso e migliore.
Oggi è una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita e
che ci offre la possibilità di realizzare questa visione.
Cerchiamo di non sprecarla.
Grazie per aver letto questa lunga riflessione e grazie a tutti quelli,
tra voi, che vorranno mettere le loro qualità e la loro passione per
fare la differenza.
Buon lavoro a tutti.

Mirafiori: l’ultima mossa di Marchionne

L'annuncio che la nuova monovolume FIAT sarà prodotta nello stabilimento serbo di Kraguievac, e non più a Mirafiori è un bluff o una cosa seria? Per quanto possa sembrare paradossale, entrambi. Il fatto che questa notizia sia stata data dalla sede della Chrysler a Detroit (dove si è deciso lo spin off nella holding tra il settore auto e il resto), simboleggiando che è negli USA e non più Torino il centro della multinazionale, di certo rafforza i timori che Marchionne faccia sul serio. I 16mila dipendenti torinesi (di cui la metà operai di linea) più una quota ancor maggiore di salariati dell'indotto gettati sul lastrico? Marchionne si accomodi, getti pure benzina sul fuoco del conflitto sociale, vedremo se la pace sociale reggerà all'urto.

FIAT: CAVALLO DI TROIA DEGLI AMERICANI

di G.P.
La Fiat sta bluffando e pratica la ritorsione contro il governo italiano dopo che quest’ultimo si è rifiutato di estendere gli incentivi sulla rottamazione anche per il 2010.
Da un punto di vista oggettivo si materializza quella funzione antinazionale del Gruppo torinese della quale abbiamo sempre detto e che ora genera danni anche sui livelli occupazionali e sulla gestione delle relazioni industriali nel nostro paese. Del resto, nonostante si faccia un gran parlare di ritorno alle logiche del libero scambio e di un ripristino di competitività non assistita dallo Stato, attraverso innovazioni e razionalizzazione dei processi, sono ancora gli aiuti pubblici a tenere in piedi il Lingotto. E’ questa la vera ed unica delocalizzazione realizzata da Fiat nel mercato globale: se prima era l’Italia a foraggiare direttamente Torino adesso ci pensano Obama e gli Stati dell’UE che godono delle agevolazioni comunitarie. Anche in Serbia, dove l’azienda ha annunciato che produrrà la nuova Musa sottraendola a Mirafiori, l’impegno fattivo di Fiat sarà di circa 1/3 dei fondi, il resto lo metterà il governo serbo e la BEI. C’è poi la questione dei bassi salari e dei vantaggi fiscali ma qui Marchionne, come giustamente ricordato da Luciano Gallino, ha fatto la figura dello smemorato poiché quattro anni fa aveva detto che "il costo del lavoro rappresenta il 7-8 per cento, dunque è inutile picchiare su chi sta alla linea di montaggio pensando di risolvere i problemi”.

Il Kosovo è un inganno

Lo scippo del Kosovo non è solo un atto ostile contro la Serbia, è un atto strategico contro l’Europa. Non strettamente contro l’Ue, il cui vuoto politico è funzionale allo strutturarsi di un’entità di libero mercato nello spazio del più ampio mercato globale, ma proprio contro l’Europa soggetto continentale composto da attori – di vari livelli e dimensioni- che non sono riusciti a irradiare negli anni la luce di una costruttiva politica nella Penisola Balcanica. Distruttiva si, in particolare ad opera di alcuni Paesi e in piena complicità con i piani atlantici, con l’aggravio di portare avanti una logica ed una destabilizzazione funzionale ai nemici dell’Eurasia.

23 luglio 2010

La Serbia perde il Kosovo ma guadagna la FIAT

Quanto accaduto nella giornata di ieri, pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja (città non particolarmente amata a Belgrado …) e annuncio di Marchionne, sembrerebbero due eventi separati ma in realtà corrispondono alla stessa logica e allo stesso storico disegno, lo smembramento dell’ex Jugoslavia e la penetrazione nei Balcani dei potentati economico-finanziari sotto protezione atlantista.
Bisogna innanzitutto sottolineare il carattere solamente simbolico del pronunciamento sul Kosovo, in quanto l’ultima parola sulla questione spetterà all’Assemblea Generale dell’ONU, che a settembre dovrà confermare le conclusioni della Corte e indicare alle parti politiche la strada da seguire.

Giulietto Chiesa: Se non ci sarà una pressione preventiva su Israele, il piano d’attacco all’Iran si realizzerà.

Giulietto Chiesa, ex deputato al parlamento europeo è uno dei più noti giornalisti italiani. Chiesa collabora con numerosi riviste e giornali italiani, europei, russi e americani. Ha pubblicato numerosi libri tra cui Afghanistan, Anno zero, Superclan, Chi comanda l'economia mondiale, La guerra infinita, Le carceri, segreti della Cia in europa e Zero inchiesta su l'11/9. E stato promotore e co-sceneggiatore del film Zero, inchiesta sull’11 settembre 2001.

Lei in uno suo ultimo  articolo ha ritenuto che l'assalto al convoglio di navi pacifiste da parte d’Israele è stata una provocazione, perché e a quale scopo?
Le intenzioni d’Israele sono assolutamente chiare ed evidenti. Anche se la tattica diplomatica-politica d’Israele è stata fino ad ora abbastanza in grado di alimentare l'idea che fosse possibile un negoziato per la soluzione palestinese, in realtà questo gruppo di dirigente israeliano appoggiato dalla maggioranza dell'elettorato israeliano non ha nessuna intenzione di risolvere il problema palestinese, quello della creazione di due Stati, così come continua a ripetere. È chiaro che nello stesso tempo (il fatto che rimanga aperta la crisi palestinese che è il punto centrale della crisi mediorientale) Israele continua a ritenere di avere il diritto della solidarietà internazionale per ragioni storiche naturalmente e anche per ragioni attuali. Ora è evidente che questo gioco (dire una cosa e fare esattamente il contrario), cioè estendere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, bloccare Gaza e strangolare sostanzialmente il popolo palestinese è insostenibile per la Comunità internazioanle ed anche l'Europa non può appoggiare alla lunga questo tipo di politica e quindi Israele si sta preparando ad uno show-down molto duro, utilizzando l'Iran come pretesto per "estorcere" nuovamente la solidarietà dell'Europa riguardo i suoi progetti.

La Cina si concentra sulla “difesa in mare aperto”

Un recente discorso riguardante la modernizzazione dell’Esercito di Liberazione Popolare (ELP) cinese, ha sottolineato più i progressi tecnologici che la trasformazione della dimensione umane dell’ELP. In particolare, riesaminandola, questa discussione ha rivelato l’assenza della disponibilità di una banca dati pubblica dei comandanti militari cinesi col grado di generale pieno (shangjiang).


Sullo sfondo dell’intenzione dichiarata dall’ELP di riorientare le forze armate nell’ambito del suo programma di modernizzazione, un’analisi delle carriere dei 118 generali(1981-2009) può fornici indicazioni significative sulla trasformazione dell’ELP.

Quel salmone è troppo allevato

Al Salone del Gusto di ottobre non troverete salmone affumicato, abbiamo risposto no alle richieste dei produttori. Lo abbiamo fatto a malincuore (alcuni affumicatori sono amici storici di Slow Food) e qualcuno non l’ha presa bene. La spiegazione è semplice, anche se drammatica: l’allevamento di salmone non è più sostenibile. A fronte del calo degli stock di salmo salar gli allevamenti si sono moltiplicati, con l’exploit vertiginoso del Cile, secondo produttore mondiale dopo la Norvegia. Consumiamo oltre 1,5 milioni di tonnellate di salmone allevato a fronte di meno di 1 milione di selvaggio. Ma a che prezzo? Innanzitutto al prezzo di tutto pesce grasso con cui sono nutriti salmoni, predatori carnivori e voraci: occorrono 5 kg di aringhe o sardine per produrre 1 kg di salmone.

Chavez e Israele: il Medio Oriente in America Latina

In mezzo a tutto il fiorire di reazioni (o meglio, di mancate reazioni…) della comunità internazionale al sanguinoso attacco israeliano contro la Striscia di Gaza di fine 2008-inizio 2009, è passato in secondo piano l’atteggiamento assunto dal Venezuela di Chavez.


La Repubblica Bolivariana, infatti, ha deciso, in data 6 gennaio, l’espulsione dell’ambasciatore d’Israele Shlomo Cohen, in risposta a quella che il presidente ex-parà ha definito la “barbarie” di Gaza. Decisione destinata prevedibilmente ad avere parecchie ripercussioni sul futuro degli equilibri geopolitici dell’America Latina. Intanto, già il giorno successivo, è arrivata immediata e scontata la risposta di Tel Aviv: l’espulsione dell’Incaricato d’Affari del Venezuela in Israele, Roland Betancourt. Il Venezuela infatti non aveva alcuna rappresentanza diplomatica in Israele, ma appunto un Incaricato per il disbrigo di Affari diplomatici. Relazioni di basso livello, insomma. Già in netto peggioramento da quando Chavez espulse una prima volta l’ambasciatore israeliano durante la guerra al Libano dell’estate 2006, e anche in seguito all’inesorabile avvicinamento politico ed economico all’Iran di Ahmadinejad.

KOSOVO E DINTORNI

di G. Gabellini
L’aggressione criminale combinata dalla forza Nato contro la martoriata nazione jugoslava scatenata il 24 marzo 1999 e protrattasi per i successivi 78 giorni può essere considerata a pieno titolo l’ultimo atto autolesionista perpetrato dai governi dei maggiori stati europei che, chinando supinamente il capo di fronte all’ennesima dimostrazione di arroganza statunitense, hanno assestato un colpo durissimo al sogno di autonomia dell’Europa.

22 luglio 2010

Cile, indietro di decenni

Sulla questione indigena il governo cileno resta arretrato e indifferente. Lontano anni luce dai progressi fatti dalla maggior parte dei paesi latinoamericani.
Quindici prigionieri nel carcere El Manzano, Concepción, otto in quello di Temuco. Tutti in detenzione preventiva, alcuni da oltre un anno e mezzo. Legge di riferimento, quella Antiterrorista. Eppure si tratta di indigeni Mapuche, la cui unica colpa è rivendicare diritti ancestrali su terre e risorse. Niente bombe, niente piani o attentati, niente armi di distruzione di massa. Ma il trattamento non cambia. E il governo sembra non sentirci. Eppure, nei confronti della questione dei dissidenti politci cubani appena liberati da Castro, il presidente Sebastián Piñera aveva mostrato tutt'altro atteggiamento, impegnandosi a mediare e candidandosi a ricevere i prigionieri in Cile. Due pesi e due misure, pare, visto che il popolo indigeno non smette di gridare al mondo che chiunque di loro venga messo in carcere è un prigioniero politico.

Usaid, sprechi umanitari

Costosa, poco efficiente e prigioniera di alcune lobby. Questa è la politica d'intervento umanitario del più grande donatore mondiale, gli Usa

A caval donato non si guarda in bocca, si dice, ed è difficile pensare a qualcosa peggiore dell'ingratitudine. Però se si è generosi con i soldi altrui e facendo il proprio interesse più che quello dell'aiutato, allora ci sono buone ragioni per aprire la bocca al cavallo e anche al suo padrone.


Spreco preferenziale. In inglese la parola "aid" vuol dire aiuto, sostegno ma è anche l'indovinato acronimo dell'Agency for International Development, meglio nota come Usaid, cioè l'Agenzia americana per lo sviluppo internazionale, l'istituzione governativa che coordina i programmi di assistenza umanitaria. Insomma, quando Washington non fa la faccia feroce, lascia campo libero a Usaid perché distribuisca aiuti e speranza a chi ne ha più bisogno. E lo fa, non c'è che dire. Basti considerare che gli Stati Uniti coprono il 65 per cento della spesa mondiale per quanto riguarda gli aiuti alimentari ai Paesi in difficoltà con una spesa annuale di circa due miliardi di dollari.

Le capacità nucleari di India e Cina: un’analisi

Un confronto della capacità nucleare di India e Cina non può essere fatto in modo isolato. Deve essere tratto dall’insieme della loro visione strategica, delle ambizioni globali e politiche, e dall’etica sociale che condizionano le loro percezioni. La loro visione strategica impone lo sviluppo delle capacità nucleari (compresa la politica nucleare, i concetti, la potenza delle armi e dei vettori), adeguato al contesto geo-strategico.


L’impostazione strategica
Da quando la recessione economica globale è iniziata intorno al 2008, il peso economico della Cina è in aumento. E l’amministrazione Obama, subito dopo l’avvento al potere, ha compiuto sforzi particolari per corteggiare la Cina e chiederle aiuto a contrastare il proprio declino economico. Apparentemente le ambizioni globali delle Cina sono state rafforzate da tutto questo. Così, non sorprende se ha mostrato riluttanza a cooperare con gli sforzi dell’amministrazione Obama, per trasformarla in un partner negli affari internazionali.

19 luglio 2010

«L’Europa può ottenere la fine dell’assedio a Gaza»

Intervista a Mahmud al Zahar
Il mondo «si è reso conto che una pace vera non può escludere la metà di un popolo e chi lo rappresenta: Hamas. A Gaza la signora Ashton ha potuto vedere con i suoi occhi le conseguenze dell’assedio criminale imposto dagli israeliani; al tempo stesso si è potuta rendere conto di persona della fierezza di un popolo che non si è arreso, che rivendica con orgoglio il proprio diritto all’autodeterminazione. Hamas è parte di questa resistenza ed è questa la ragione della nostra forza».

Nel giorno della visita a Gaza dell’Alta rappresentante per la politica estera europea Catherine Ashton, parla l’uomo forte di Hamas nella Striscia, più volte sopravvissuto alle «eliminazioni mirate» condotte contro di lui dalle forze armate dello Stato ebraico: Mahmud al Zahar.


«L’Europa -dice al Zahar in questa intervista esclusiva a l’Unità - può svolgere un ruolo da protagonista
in Palestina, a patto che dimostri con i fatti non avallare la politica usurpatrice d’Israele
».

Il ministro degli Esteri di Hamas non ritiene chiusa l’«intifada delmare»: «I
l popolo palestinese - afferma - non ha dimenticato i martiri della FreedomFlotilla». L’«intifada del mare» ha fatto emergere nuovi protagonisti sullo scenario mediorientale. Primo fra tutti, il premier turco Tayyip Erdogan: «È lui - rimarca al Zahar - l’uomo nuovo. La Turchia è il nuovo centro dell’Islam».


La baronessa Ashton ha visitato Gaza ma non ha voluto incontrare i dirigenti di Hamas.
«Ce ne faremo una ragione... Ma la signora Ashton ha parlato con la gente di Gaza,e di quella gente Hamas è parte. Se fossimo degli alieni,un corpo estraneo,saremmo stati spazzati via da tempo...».


GLI SQUADRONI DELLA MORTE .... DI ISRAELE

Questo è un vecchio articolo, ma vale la pena di riproporlo, soprattutto dopo l'assalto alla Freedon Flotilla, piombo Fuso e l'assassinio negli Emirati di Mahmud al-Mabhouh, evento quest'ultimo che ha creato un po' (non troppo in realtà) attrito con alcuni paesi europei visto che gli agenti del Mossad hanno usato passaporti falsi di Gran Bretagna e Irlanda: qui si parla proprio di "omicidi mirati"


GLI SQUADRONI DELLA MORTE DI ISRAELE: STORIA DI UN SOLDATO


di Donald Macintyre

© Copyright Donald Macintyre, The Independent, 2009

Un ex membro di uno squadrone della morte israeliana ha rotto il silenzio per la prima volta: storia di un soldato.

La politica militare di Israele di assassini selettivi è stata descritta dall'interno per la prima volta. In un'intervista con l'Indipendent on Sunday, e nella sua testimonianza ad una organizzazione di ex soldati, Breaking the Silence (Rompendo il silenzio), un ex membro di uno squadrone della morte, ha parlato del suo ruolo in un'imboscata fallita nella quale morirono due passanti palestinesi così come i due combattenti attaccati.

Tarek Aziz e i prigionieri di guerra consegnati al nemico


Annunciato da due anni, il trasferimento dei dirigenti iracheni arrestati, o che si sono arresi sotto condizione dopo l’occupazione del paese nell’aprile 2003, è iniziato qualche giorno fa a Baghdad. Cinquantacinque tra essi – tra cui il vice primo ministro Tarek Aziz e Abed Hmoud, segretario del presidente Saddam Hussein – sono attualmente detenuti nella prigione di Kazimiyya, centro di tortura controllato dal ministero iracheno della giustizia e dalle milizie pro-iraniane.

Cina, la vera sfida per l’Unione Europea?

L’attuale complesso delle relazioni internazionali e la crisi economica globale che, partendo dagli Stati Uniti, ha investito l’intero sistema mondiale, hanno sottolineato come la Cina abbia accresciuto il suo potere economico-politico, candidandosi a poter diventare la quarta potenza economica del mondo e un attore politico di importanza strategica per i capitalismi occidentali. Negli ultimi quindici anni e, in particolar modo, dopo l’ingresso nella World Trade Organization, Pechino ha portato avanti una corsa all’industrializzazione, al progresso tecnologico, al potenziamento militare, alla globalizzazione e all’urbanizzazione senza precedenti, cosicché si può parlare di un nuovo “Balzo in Avanti”.

Washington organizza reti studentesche contro Venezuela, Cuba e Iran

di Eva Golinger
Nell’ultimo anno, diverse agenzie di Washington si sono impegnate a finanziare, promuovere e organizzare gruppi di giovani e di studenti in Venezuela, Iran e Cuba, per creare movimenti di opposizione contro i loro governi. I tre paesi, due dei quali sono considerati “nemici” dal governo statunitense, sono stati vittime dell’intensificazione delle aggressioni di Washington, che cerca di provocare un cambiamento di “regime” favorevole ai propri interessi.

Nelle ultime settimane, l’offensiva è continuata con la visita effettuata dal dirigente studentesco venezuelano Roderick Navarro in territorio statunitense. Navarro, presidente della Federazione dei Centri Universitari dell’Università Centrale del Venezuela (FCU-UCV), si è recato anche a Miami, per “incontrare il movimento studentesco venezuelano all’estero” e lavorare alla creazione di “una rete internazionale che comprenda gli studenti di Iran e Cuba”. Secondo Navarro, la rete verrà creata “perché il mondo sappia delle violazioni dei diritti umani che avvengono nei nostri paesi”.

Sì, alla Fiat le rappresaglie sono fascismo

di Giorgio Cremaschi
Le rappresaglie antisindacali che la Fiat sta pianificando in questi giorni a Melfi come a Mirafiori, sono atti di autentico fascismo aziendale. Si perseguitano i delegati che organizzano gli scioperi contro i carichi di lavoro eccessivi e gli impiegati che informano i colleghi della solidarietà degli operai polacchi con quelli di Pomigliano. La libertà di sciopero, la libertà di informazione, la libertà di pensiero, le libertà in quanto tali sono oggi in discussione alla Fiat. All’origine di tutto questo c’è la strategia industrialmente debole, ma furba e arrogante di Sergio Marchionne. L’amministratore delegato della Fiat non è mai stato un industriale. E’ un banchiere svizzero chiamato a salvare la Fiat dal fallimento. Questa operazione è riuscita al prezzo di durissimi sacrifici dei lavoratori e, come sempre avviene nell’economia finanziaria, ha portato ingenti guadagni a Marchionne. L’amministratore delegato della Fiat è stato poi così chiamato a salvare la Chrysler, che la Mercedes aveva abbandonato. Lì, con l’aiuto di ingenti finanziamenti pubblici, è riuscito a piegare i sindacati.

18 luglio 2010

Il Costa Rica diventa una zona franca per aggredire il Venezuela

Il Costa Rica si predispone a diventare base dell’impero nordamericano allo scopo di aggredire militarmente la Repubblica Bolivariana del Venezuela. Quale altro obiettivo potrebbe esistere partendo dal Costarica?
 
Dopo la vergognosa approvazione da parte dell’Assemblea Legislativa costarichegna (il 1 luglio 2010 con 31 voti a favore e 8 contrari), sarà consentito l’ingresso di circa 13 mila marines statunitensi con 46 navi d’appoggio, una portaerei e 200 elicotteri, il tutto giustificato per combattere il narcotraffico. Ciò lascia intravedere la prospettiva delle future aggressioni nella regione.
 
Si può paragonare il volume di produzione di droga del Costa Rica con quello del Perù o della Colombia? Il Costarica è un pericolo tale da riempirlo di militari stranieri? Per quello che ne sappiamo, non costituisce alcun tipo di minaccia di alcun genere, piuttosto fa pensare che si tratta di pianificare un passaggio già previsto dall’impero: aggredire o invadere militarmente il Venezuela.

BANCHIERI D'ASSALTO

Immaginate che io sia un rapinatore ma di quelli perbene che non sparano sulla gente, un bandito gentiluomo ed eroico come certuni che si vedevano una volta al cinema. In quanto lestofante sarei tenuto a svolgere la mia prestazione nel posto di lavoro più adatto, che so’ una banca per esempio, cercando di alleggerirla di qualche migliaio di dollari o euri per rimpinguare le mie tasche. Diciamo pure però che, per una sorte accanita e malevola, la polizia riuscisse ad arrestarmi e a condurmi di fronte alla legge. A questo punto, davanti alla bilancia starata della giustizia rischierei, almeno in Italia, una pena dai 3 ai 10 anni, più le aggravanti se il giudice dovesse attribuirmele. Non sono un avvocato o un magistrato ma credo, più o meno, che le cose stiano così. 

“Il mondo manca di regole uniformi”: intervista a David Sanakoev

Quello che segue è un estratto dell’intervista rilasciata da David Sanakoev* in esclusiva per i lettori di Nasha Gazeta e Eurasia, Rivista di Studi Geopolitici a Luca Bionda, redattore di “Eurasia”. L’intervista completa sarà pubblicata sul prossimo numero della rivista “Eurasia”. Un ringraziamento particolare ad Olesja Kadzhaeva (Tskhinval, Ossezia del Sud) per il supporto nell’intervista.

Lei lavora come Ombudsmen per il Presidente dell’Ossezia del Sud dal 2004. Quali sono gli aspetti più importanti che ha dovuto affrontare, e quali sono i principali problemi per i diritti civili del popolo osseto?Siamo impegnati in una ampia gamma di questioni in cui ogni decisione è spesso influenzata dalle difficili condizioni socio-economiche sopraggiunte all’aggressione georgiana contro l’Ossezia del Sud. Nonostante ciò, siamo coscienti della necessità di monitorare attentamente la situazione dei diritti umani e di esercitare il massimo impegno per proteggerli. Assieme a noi sono coinvolti non solo i cittadini osseti, ma anche quelli di altri Stati presenti nel territorio del nostro paese, indipendentemente dalla loro etnia. Naturalmente, l’aggressione del 2008 ha modificato sensibilmente la percezione dei problemi da parte della popolazione. Questo è quindi un appello ai garanti del diritto internazionale, affinché collaborino a proteggere i diritti dei nostri cittadini e dei loro cari, risolvendo i problemi inerenti la ricerca delle persone scomparse, le richieste di scarcerazione dei detenuti, nonché la restituzione ed il risarcimento dei beni perduti a causa dell’aggressione georgiana.

16 luglio 2010

Piano sionista per separare la Striscia di Gaza dalla Palestina

al-Quds (Gerusalemme) - Pal-Info. Il Ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha in serbo un piano per 'delimitare' le responsabilità dell'occupazione sionista nella Striscia di Gaza.

Il piano partirebbe dal porre fine agli attacchi contro il territorio palestinese assediato e, in senso più ampio, mirerebbe a farne un'entità indipendente e separata.

Oggi, 16 luglio, il quotidiano israeliano Yediot Aharonot presenta la nuova idea di Lieberman come una manovra politica per ottenere un riconoscimento internazionale della fine dell'occupazione.
Si parla dell'esistenza di documenti confidenziali secondo i quali il Ministro israeliano potrebbe incontrare, a breve, i colleghi statunitensi, il Segretario Generale Onu, Ban Ki-moon, e vari giuristi esperti di diritto internazionale proprio per valutare questa ipotesi.

"Ma quali scontri?" La verità degli aquilani sul 7 luglio: "Basta censura e propaganda"

Un'ora, due maxischermi e una platea di giornalisti per “ristabilire” la verità e smentire un teorema, quello secondo cui, le manganellate da parte delle forze dell'ordine sarebbero partite in seguito a provocazioni provenienti da alcuni “estremisti” dei centri sociali ( sempre loro guarda caso). I comitati aquilani, i promotori reali di una vasta mobilitazione che il 7 luglio ha visto semplicemente una delle sue tante tappe a Roma, non accettano che la realtà venga stravolta fino a questo punto, non accettano il fatto di veder sminuita la loro battaglia. Già è stato fatto e anche ampiamente da parte dei mezzi di informazione ( anche se non da tutti), denunciano, che invece di spiegare i motivi della protesta hanno preferito dare spazio e voce alle polemiche, ai cosiddetti scontri: “Pretendiamo che non si parli più di scontri o incidenti tra polizia e manifestanti” dichiara Sara, rappresentante dei comitati aquilani, una delle tre donne cui ieri è toccato il compito di far saltare l'intero impianto accusatorio, che al momento è andato a colpire solo due persone, uno dei due romano. A quelle persone, sottolineano, “che ci sono state accanto sin dalla prima ora, va il nostro grazie e la nostra più completa riconoscenza”. E gli infiltrati, i facinorosi, gli estremisti che piacciono tanto a una certa stampa? “ Se ci fosse il tempo potrei dare uno per uno i nomi di tutte le persone che stavano in prima fila alla manifestazione...” afferma Maria Lucia. 5.000 persone, all'incirca, 45 pullman, tutti arrivati dall'Abruzzo, per manifestare pacificamente e ad accoglierli a Piazza Venezia un plotone di forze dell'ordine schierato in assetto anti-sommossa, immagini che sembrano richiamare altre non troppo lontane nel tempo a quella Genova presidiata per il G8, seppur con dei distinguo, che le tre oratrici cercano di far emergere uno dopo l'altro nel corso della narrazione: la presenza costante e massiccia delle istituzioni, a partire dall'adesione iniziale alla piattaforma della manifestazione, e in seguito durante tutto il corteo, loro il primo contatto e la trattativa con le forze dell'ordine, la presenza di donne e anziani, molti dei quali malmenati senza ragione da subito, un clima iniziale sereno, negozi aperti, volti sorridenti, la solidarietà degli invalidi, contemporaneamente a Montecitorio.

Dittatura comunista o nuova democrazia?


di Moreno Pasquinelli
Discutendo coi maoisti nepalesi

«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia».
William Shakespear, da “Amleto”

Si dicono un sacco si sciocchezze sul Nepal, anche da parte di chi, non fosse che per la conclamata affinità ideologica col partito maoista di quel paese, sarebbe invece titolato a capirne senso strategico e relative mosse tattiche. Qui in Italia, ad esempio, con imperdonabile faciloneria, alcuni compagni sono passati dalle grida di osanna per il “finale assalto insurrezionale” dei primi giorni di maggio, all’enfasi con cui, (fine maggio) veniva comunicato che il partito maoista era “entrato nuovamente a far parte del governo di coalizione”. Due notizie false, due stampelle del medesimo pressappochismo. Se infatti fosse stato vero che lo sciopero a oltranza proclamato dall’ UCPN (maoista) era il finale assalto rivoluzionario allo “stato borghese”, l’ingresso a pochi giorni di distanza in un governo di coalizione coi “partiti feudali e borghesi” era, o un “tradimento politico” oppure la prova che l’assalto era fallito.
Né l’una né l’altra.

Israele è uno stato teocratico.

In uno stato democratico si può essere arrestati per aver contravvenuto a delle regole religiose? E può uno stato moderno (almeno per come viene interpretato in occidente) dettare regole religiose? Può uno stato che si definisce "l'unica democrazia del medio oriente" arrestare una donna perché sotto il cappotto indossa il talled, lo scialle che possono portare solo gli uomini? Yno stato democratico, la famosa unica democrazia.... ecc... può legiferare e dibattere sul diritto di leggere la Torah ad alta voce al Muro del Pianto delle donne?
Io ritengo di no. Ah, visto che ho accennato a Torah, Muro del Pianto..... non sto parlando di quel paese cattivo abitato da barbuti retrogradi, l'Iran, sto parlando di Isrele, paese dove i barbuti retrogradi (gli Haredim) nel 2050 "... saranno il 37% della popolazione di Israele.

Vi propongo questo articolo su delle donne che non ci stanno e c he hanno deciso di sfidare i pregiudizi.

South Stream, cosa si muove

Aggiornamenti sul fronte della geopolitica delle pipeline.


Ci sono significative novità in merito al progetto del gasdotto eurasiatico South Stream, la cui notevole valenza geopolitica si è più volte evidenziata.

Stando a quanto emerge dalle ultime notizie, come riportato dal giornale russo Kommersant, il duo Cremlino-Gazprom sembra aver trovato un punto d’incontro con la Bulgaria, nelle settimane precedenti piuttosto riluttante.
La trattativa ha avuto un risvolto positivo durante la visita a Sofia del vice primo ministro russo Viktor Zubkov al primo ministro bulgaro Boiko Borisov. Quest’ultimo ha espresso per la prima volta pubblicamente il suo sostegno al South Stream e nei prossimi giorni si dovrebbe procedere ad una “road map”, con l’inizio del progetto entro il 2015.

Si deve proprio salvare la moneta unica europea?

Dopo l'orgia speculativa, l'austerità per tutti (o quasi)
«Se l'euro dovesse fallire - annunciava il cancelliere tedesco Angela Merkel il 13 maggio 2010 - è l'Europa stessa che fallisce». Undici anni dopo la creazione dell'euro, la Banca centrale europea ha rinunciato a tutti i suoi principi per cercare di contenere la crisi finanziaria. La parola d'ordine è una sola: salvare la moneta unica. Inchiesta sui fondamenti di questo volontarismo europeista e sui suoi beneficiari.

di Akram Belkaïd*

«Siamo sfuggiti di poco a uno scenario catastrofico, che avrebbe potuto portare alla scomparsa dell'euro», rabbrividisce un alto funzionario europeo a Bruxelles(1). Quasi due anni dopo il trauma prodotto dal fallimento della banca Lehman Brothers, l'Europa e l'intero mondo della finanza avrebbe di nuovo rischiato il peggio. Venerdì 7 maggio la moltiplicazione degli attacchi speculativi contro il debito sovrano greco, spagnolo e portoghese hanno rischiato di provocare una crisi sistemica.

15 luglio 2010

Crisi economica: un possibile scacco politico

Secondo recenti sondaggi condotti negli USA, circa il 42% della popolazione ritiene che la questione principale di l’amministrazione Obama debba farsi carico sia proprio la crisi economica. Sebbene molti studiosi abbiano dato il loro plauso all’azione presidenziale, pronosticando una ripresa sul lungo periodo, è importante che vi siano riscontri anche nella vita reale. Il malcontento fra gli statunitensi è costante e l’idea di tassare le banche che attuano politiche lesive del sistema economico, o i fondi stanziati per nuovi progetti a sostegno dell’occupazione sono di aiuto solamente sulla carta.