Il ministro degli Esteri greco, Dimitris Droutsas, ha in questi giorni visitato Gerusalemme, dove ha incontrato il primo ministro israeliano Netanyahu, il ministro degli Esteri Lieberman, il ministro della Difesa Barak e perfino il capo dell’opposizione Tzipi Livni.
È un altro segnale del riavvicinamento tra Grecia e Israele, a conferma del precedente (agosto) incontro fra Netanyahu e il primo ministro ellenico Papandreou: nell’occasione per la prima volta un capo di governo israeliano giungeva in visita ufficiale ad Atene. Nelle scorse settimane, d’altra parte, esercitazioni aeree congiunte dei due Paesi si tenevano nel Peloponneso e al largo di Creta.
E proprio nei giorni scorsi Papandreou si è adoperato per favorire un riavvicinamento tra Turchia e Israele, premendo per un incontro diretto tra Erdoğan e Netanyahu in occasione della conferenza sui cambiamenti climatici che si terrà venerdì 22 ottobre ad Atene; il primo ministro turco non si è fatto incantare, preannunciando che rinuncerà a partecipare alla conferenza se sarà presente Netanyahu: “Un primo ministro che si dice fiero dell’attacco militare alla flottiglia degli aiuti umanitari è un primo ministro con il quale non intendo discutere”.
E proprio nei giorni scorsi Papandreou si è adoperato per favorire un riavvicinamento tra Turchia e Israele, premendo per un incontro diretto tra Erdoğan e Netanyahu in occasione della conferenza sui cambiamenti climatici che si terrà venerdì 22 ottobre ad Atene; il primo ministro turco non si è fatto incantare, preannunciando che rinuncerà a partecipare alla conferenza se sarà presente Netanyahu: “Un primo ministro che si dice fiero dell’attacco militare alla flottiglia degli aiuti umanitari è un primo ministro con il quale non intendo discutere”.
Ma se Israele gioca la carta greca a compensazione della perdita di posizioni nella vicina Turchia – certo approfittando della attuale estrema debolezza e vulnerabilità di Atene, nonché di una certa propensione filosionista di Georges Papandreu – non è che abbia rinunciato a “entrature” turche e al tentativo di accerchiamento e strangolamento del governo di Ankara.
L’insidiosa strategia prescelta è quella della vicinanza e complicità tra Forze Armate israeliane e turche.
Secondo alcuni media turchi un’unità segreta dello Stato Maggiore di Ankara sarebbe in contatto diretto con gli israeliani, ufficialmente per occuparsi del terrorismo regionale. Il ministro della Difesa, Vecdi Gönül, ha smentito la notizia, ma indipendentemente da tale voce, puramente ipotetica, resta il fatto che l’esercito turco, dichiaratamente “laico” e pro occidentale, ha sempre intrattenuto positive relazioni con Tsahal: nel luglio di quest’anno, ad esempio, il capo di Stato Maggiore israeliano, Gaby Ashkenazy, scriveva in una rivista militare del suo Paese che “la Turchia, membro della NATO e Stato musulmano confinante con l’Iraq, la Siria e l’Iran, gioca un ruolo strategico importante nella regione, per quanto concerne la sicurezza (…) Tsahal e l’esercito turco intrattengono relazioni monitorate da addetti militari presenti nei due Paesi, ed effettuano con regolarità visite reciproche, esercitazioni comuni e un dialogo costante su numerosi temi”.
Anche dopo i tragici fatti della Mavi Marmara questo “dialogo costante” non è venuto meno, in apparenza soprattutto in ordine alla consegna dei droni israeliani utilizzati nel contrasto alla guerriglia del PKK (la stessa che viene alimentata, secondo molteplici fonti tra loro convergenti, dal Mossad): una delegazione militare turca si è trattenuta per circa due settimane in Israele ufficialmente per approfondire le tematiche inerenti l’utilizzazione dei droni.
20 ottobre 2010
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