21 ottobre 2010

VENTI DI GUERRA?

Il grande successo riscosso dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in occasione della sua recente visita in Libano ha senza ombra di dubbio elevato il livello di tensione internazionale. "La visita deve preoccupare l'Europa", ha immediatamente tuonato l'ormai arcinoto ambasciatore israeliano in Italia Gideon Meir, aggiungendo che si tratterebbe del "Primo passo dell’islamizzazione del Libano e quindi dell’iranizzazione dell’intero Medio Oriente. E' un segnale dall’allarme per l’Europa. I missili che l’Iran sviluppa sono sufficienti per colpire Israele, ma anche per colpire Roma o l’Europa”.

C'è poco da stupirsi, abituato come è a fare i conti in tasca agli altri paesi, senza che questi ultimi si azzardino a proferir parola di protesta, Israele non ha fatto altro che replicare agli "alleati" (sic!) le proprie consolidatissime idiosincrasie. A valutare attentamente la situazione si scopre, tuttavia, che l'Europa ha tutto l'interesse a lasciare che l'Iran assurga a bastione, a paese egemonico nell'intera area mediorientale. Oltre al fatto che Germania ed Italia sono pur sempre i suoi maggiori partners commerciali, il motivo reale per cui l'Iran ha assunto un ruolo cruciale nei destini dell'Europa risiede nella decisione del presidente Mahmoud Ahmadinejad di indicizzare il prezzo del petrolio secondo i parametri dell'Euro anziché del dollaro.
Le tante idiozie sul nucleare non sono altro che propaganda statunitense volta ad ammantare con una coltre di (inesistente, peraltro) legittimità la reale intenzione di spazzare via Ahmadinejad e la sua abile politica energetica. Dal canto suo, Israele ha colto la palla al balzo, tirando in ballo Teheran al fine di acquisire il credito internazionale sufficiente per devastare ancora una volta il paese dei cedri. Le forze armate israeliane bruciano infatti dalla voglia di riscattarsi di fronte alla nazione per le due cocenti batoste (2000 e 2006) riflategli dagli astuti combattenti di Hezbollah, che hanno oramai acquisito tecniche di combattimento, di controspionaggio e di prevenzione tali da poter efficacemente vanificare o comunque contenere la terribile macchina da guerra israeliana, la cui leggendaria efficienza è stata abbondantemente ridimensionata dalla evidente marea di inadeguatezze di cui è stata data prova anche di recente. Barak ha parlato, come al solito, di necessità di "Sradicare Hezbollah dal Libano", esattamente come Olmert aveva parlato di "Guerra ad Hamas, e non ai palestinesi" alla vigilia di "Piombo fuso". C'è da aspettarsi la stessa meticolosità e perizia. La verità è che Israele sta facendo il tutto per tutto per ricacciare il Libano indietro di decenni, e di estendere l'occupazione della Cisgiordania anche alla zona meridionale del paese dei cedri, facendo leva su qualsiasi pretesto possibile, che verrà prontamente ripreso dalla servile stampa contemporanea e agitato ossessivamente come prova inequivocabile della "minaccia" (sic!) cui Israele è esposto fin dal giorno della sua nascita. E mentre a Roma Saviano e la Nirenstein si prodigando per cantarne trasversalmente le lodi, Israele sta mettendo a punto i piani di attacco, che con ogni probabilità avrà luogo entro e non oltre i prossimi dodici mesi. I guerriglieri di Hezbollah, nel frattempo, si preparano in silenzio, e Iran e (soprattutto) Turchia stanno alla finestra, ad aspettare pazientemente che Israele sferri il più sconsiderato dei gesti, per accusarlo pubblicamente, prove alla mano, di essere il principale responsabile dell'instabilità mediorientale. Dal canto suo, Barack Obama, che molto si è impegnato per organizzare quella burla di "processo di pace" chiamando in causa l'insignificante e screditatissimo Abu Mazen (è Hamas ad essere stata eletta), vedrà svanire in una bolla di sapone i suoi tentativi di dare una parvenza di stabilità al Medio Oriente, e sarà spinto nell'angolo dai vecchi alleati, Turchia in testa, che lo costringeranno a prendere pubblicamente una posizione chiara e limpida in merito. Un ulteriore raffreddamento (già avvenuto, in relazione alla decisione, varata da Netanyahu, di estendere la costruzione di case coloniali nelle aree occupate) delle relazioni con gli USA significherebbe per Israele l'isolamento più totale, prospettiva non certo allettante se collocata in un assetto mondiale inesorabilmente avviato verso il policentrismo. In ogni caso, i clericali politicamente corretti hanno già acceso i roboanti motori della propaganda, e stanno già spianando il terreno mediatico ad Israele. Tenere gli occhi bene aperti.
(di G. Gabellini)

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