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Kurt Sonnenfeld era al World Trade Center quell'11 settembre 2001. L'agenzia federale per la quale lavorava lo aveva spedito lì per filmare l'accaduto. Ma quanto vide lo segnò per sempre, costringendolo a rifugiarsi in Argentina.
Kurt Sonnenfeld è un documentarista statunitense che ha lavorato per anni per un'agenzia federale. Quando l'11 settembre 2001 gli ordinarono di precipitarsi al World Trade Center le torri gemelle erano state colpite soltanto dal primo aereo. E tutti pensavano - e speravano - si trattasse di un incidente. Mettere piede su quelle macerie fu per lui l'inizio di un infinito incubo. Che lo perseguita tutt'oggi. E non solo perché ciò che vide rimarrà indelebile nella sua mente, come in quella di ogni americano, ma perché tutto quel che vide lo filmò. Ed è questo che qualcuno ancora non gli perdona. Questa la sua condanna.
Appena sul posto, fra le lamiere contorte, scese fino al seminterrato del World Trade Center, pensando che qualcuno potesse esserci rimasto intrappolato. Lavorando per l'agenzia federale, conosceva bene quelle stanze, fatte di porte antiscasso chiuse a più mandate e di tanta vigilanza. Si trattava di locali adibiti a custodire documenti delicati, prove, elementi confiscati, quindi da tenere sottochiave. Eppure, non solo in quel momento lì non ci trovò nessuno, ma non c'era nemmeno più niente, se non una porta semiaperta. Questo fu il primo di una lunga serie di elementi che gli suonò alquanto strano. Kurt filmò e se ne andò. Le stranezze continuarono. La torre 7, che ospitava le agenzie federali, nonostante non presentasse nessun danno che ne giustificasse il crollo, franò su se stessa. Totalmente. Fu una sorta di implosione registrata molte ore dopo l'attentato. E per questo senza nessuna vittima. Ma a Kurt non tornavano i conti. Non solo. Altro campanello fu l'altissima temperatura delle macerie. Inspiegabile. La suola di gomma delle sue scarpe si scioglieva a ogni passo. Ogni ferro era arrotolato su se stesso. Piegato. Contorto.
Perché? E perché le scatole nere degli aerei, costruite per resistere a tutto, si erano invece polverizzate?
E poi, come mai l'area fu isolata a partire da molti isolati di distanza da Gorund Zero? La scusa fu che era necessario preservare la scena del crimine. Ma era veramente una misura necessaria? Non è forse per questo che pochi sanno, per esempio, che molte delle lamiere inizialmente radunate per essere esaminate in qualità di prove, vennero invece spedite in Cina per essere fuse?
Domande insistenti. Dubbi che iniziarono a martellare nella testa di Kurt, come incubi. Dopo aver scartato la tesi della cospirazione made in Usa, il documentarista arrivò a tracciare una spiegazione per tutta quella serie di strane coincidenze: alcuni funzionari federali già sapevano quel che stava progettando Al Qaeda, ma non fecero niente per impedirglielo. Perché? Per dare l'imput al cambiamento degli interessi geostrategici degli Stati Uniti. E le tremila persone morte? Effetti collaterali. Non è così che il governo George W. Bush ha sempre catalogato ogni morto civile di una "guerra giusta"? È da allora infatti, come ha ricordato la moglie di Sonnenfeld a Urgente24, che "è arrivata l'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, alla ricerca di armi chimiche mai trovate. È da allora che la guerra si è diffusa con la scusa dell'occhio del male, con il terrorismo in primo piano".
Adesso tutto quello che Kurt vide e filmò sono in Argentina assieme a lui. Perché? Perché negli Usa qualcuno da allora lo perseguita. Dopo essere stato ingiustamente imprigionato per il suicidio della prima moglie, Nancy, Kurt è stato torturato, minacciato, inseguito con il semplice fine di sequestrargli il materiale compromettente sull'11 settembre. Per questo, una volta stabilita dal giudice la sua innocenza, Kurt ha cercato un po' di pace dall'altro capo del continente. Dove ha conosciuto Paula, ha avuto due figlie ed è rimasto grazie all'asilo politico provvisorio concessogli dall'Argentina. Status che adesso gli sta scadendo.
Le pressioni per riaverlo negli Usa non sono mai scemate. Kurt resta un testimone scomodo e non solo per quel che ha visto e registrato sull'11 settembre. Fra i suoi documenti girati per l'agenzia federale Fema (U.S. Department of Homeland Security) ha anche filmati di zone nucleari e strategiche che potrebbero mettere male la Casa Bianca, visto che testimoniano l'imballaggio e il trasporto di armi nucleari, biologiche e chimiche e "il precario stato nel quale in alcuni casi vengono tenute". La scusa a stelle e striscie per rivolerlo in patria è la riapertura del caso sulla morte di Nency, alla faccia della dichiarazione di innocenza emessa anni fa. Ma il fine è chiaramente un altro: mettere a tacere per sempre chi ha visto troppo.
In questi anni, Kurt ha sempre vissuto fra costanti minacce e pressioni, scontando anche mesi di carcere in Argentina. Ma è sempre stato protetto da uno Stato che gli ha garantito rifugio e credibilità, almeno finora. Per questo è nata una campagna per raccogliere le firme che possano convincere la Casa Rosada a non cedere alla prepotenza della Casa Bianca e a concedere a Kurt un status permanente di rifugiato politico che gli permetta di vivere una vita degna, senza però mai dimenticare. Anzi, le organizzazioni create dai familiari delle vittime dell'11 settembre chiedono a gran voce che Kurt racconti tutto quello che vide e per farlo deve essere protetto da chi lo vorrebbe azzittire per sempre.
21 maggio 2010
09-11: la strana storia di chi vide troppo
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