28 maggio 2010

Pyongyang nel mirino

S. S. HA.

È piuttosto evidente che la politica condotta dagli Stati uniti in Corea del nord non ha funzionato e mai funzionerà (1). Nonostante gli americani abbiano ritirato unilateralmente le loro armi tattiche nucleari dalla Corea del sud, continuano a schierare nel Pacifico, sulle loro portaerei, in un perimetro utile per un eventuale attacco al nord, missili balistici e bombardieri dotati di armi nucleari.

Ora, nell'ambito dell'accordo del 1994 concluso con l'amministrazione di William Clinton, Pyongyang si era rifiutata di «congelare» il suo programma nucleare se non a condizione che Washington «fornisse garanzie formali sull'assenza di minaccia o di utilizzo delle armi nucleari» (articolo 3).


Una simile promessa, abbinata a un calendario di normalizzazione dei rapporti bilaterali, sembra attualmente necessaria per ottenere da Pyongyang un nuovo accordo sulla denuclearizzazione. Ma questa opzione è stata rifiutata esplicitamente dal comitato del Pentagono che, insieme alla Casa bianca, ha condotto l'analisi critica della posizione strategica sul nucleare (Nuclear Posture Review, Npr).

A meno di un intervento all'ultimo minuto del presidente Barack Obama, la Npr ratificherà il postulato del Pentagono, in base al quale qualsiasi restrizione al principio dell'utilizzo offensivo dell'arma nucleare priverebbe i generali americani della possibilità di agire di sorpresa per contrastare un eventuale impiego di armi chimiche da parte di Pyongyang. In questo caso, la strategia dell'esercito americano in Corea del sud, conosciuta sotto il nome di «Ballerino agile», prevede esplicitamente bombardamenti nucleari. Il comitato della Npr ha respinto le controproposte presentate dall'ex ministro della difesa William Perry e da un comitato di esperti scelti accuratamente nella Brookings institution. Perry ha dichiarato che «gli Stati uniti potrebbero rispondere in maniera devastante a un attacco chimico pur senza ricorrere alle armi nucleari (2)». Il comitato di esperti, dal canto suo, ha concluso che «i siti di produzione e stoccaggio e i veicoli per la consegna» delle armi chimiche «potrebbero essere distrutti preventivamente» da armi convenzionali nell'eventualità di una guerra con la Corea del nord (3). Inoltre, nell'ipotesi in cui le armi chimiche o biologiche resistessero, «massicci attacchi convenzionali contro obiettivi militari potrebbero limitare la portata degli attacchi chimici e biologici senza dover ricorrere alle armi nucleari».





note:



(1) Si legga «Dietro la facciata del regime di Pyongyang», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1998.



(2) Harold E. Feiveson (a cura di), The Nuclear Turning Point, Brookings Institution Press, Washington, DC, 1999, p. 151-153.



(3) Jonathan Granoff, «The process of zero», World Policy Journal, Cambridge (Massachusetts), inverno 2009-2010, p. 90.

(Traduzione di A. C.)
 
Fonte: http://www.monde-diplomatique.it/ (aprile 2010)

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