25 maggio 2010

Un massacro di arabi nascosto da uno stato di amnesia nazionale

“Niger”, un nome che rievoca una storia ambientale difficile causata dai bisogni delle nostre società energivore. Non bastavano gli effetti delle esplorazioni e trivellazioni di compagnie petrolifere come Shell ed Eni, che dalla fine degli anni cinquanta devastano il territorio nigeriano. Ora il problema delle popolazioni locali dell'Africa nera è soprattutto quello della radioattività.

Le devastazioni più o meno evidenti di vaste regioni africane causate dall’industria petrolifera non erano sufficienti a far ammalare le persone. Mancava altro. Da tempo, infatti, ci si è messa anche l'industria nucleare. Non bastavano fenomeni quali la pratica del gas flaring che consiste nel bruciare (invece di riutilizzarlo o di affrontare i costi relativi al suo smaltimento) il gas naturale che esce dai pozzi petroliferi a cielo aperto e che ha causato malattie respiratorie, piogge acide e inquinamento dell’aria e delle acque.


Anche la radioattività in Niger, ha livelli 500 volte superiori a quella che è la norma nell’area di Akokan. Lo ha rivelato Greenpeace già negli scorsi mesi, con un rapporto-denuncia che mette in luce i dettagli inquietanti di una vicenda ormai fuori da ogni controllo. A cosa è dovuto ciò, e perché la radioattività passa dalle miniere alle strade ed ai mercati cittadini? Una delle maggiori cause sembra essere legata al fatto che nei mercati locali sono venduti oggetti metallici radioattivi.

Akokan è con Arlit, una città mineraria nella quale si estrae l’uranio che serve a tenere in piedi l’industria nucleare, in particolare quella francese. Nella zona opera Areva – leader mondiale nel campo del nucleare – la società con la quale il governo Berlusconi e l’ex ministro Scajola hanno stretto l'accordo per costruire quattro centrali atomiche in Italia; la stessa che ha recentemente “ammesso” i suoi errori, per molti aspetti ormai irreparabili.

La zona a cui si fa riferimento – al di là della confusione dovuta ad una omonimia di nomi con cui si indica un fiume o nazioni simili fra loro – è l’Africa niger, ossia nera, le cui falde acquifere sono contaminate per milioni di anni. Un dettaglio da non trascurare quando si cerca di valutare i costi (forse un tempo) nascosti dell’energia nucleare, o quando si vuole considerare il prezzo ambientale pagato dall'Africa e dagli africani all'estrazione dell'uranio.

Nonostante le numerose avversità, in Italia si parla di ritorno al nucleare. Nel suddetto rapporto si legge che "in quattro su cinque campioni di acqua che Greenpeace ha raccolto nella regione di Arlit, la concentrazione di uranio è risultata al di sopra del limite raccomandato dall'Oms per l'acqua potabile", e che "in 40 anni di attività sono stati utilizzati 270 miliardi di litri di acqua contaminando la falda acquifera”. Ecco perché “saranno necessari milioni di anni per riportare la situazione allo stato iniziale". Ma non è tutto, la radioattività si trova anche nelle polveri sottili – risaputamente in grado di entrare in profondità ed irreparabilmente nell'apparato respiratorio – trovate in concentrazioni aumentate di due/tre volte.

Non sono solo gli oggetti e gli utensili vari venduti o scambiati nei mercati locali a creare il problema, ma anche il materiale contaminato che gli abitanti del luogo usano per costruire le loro case. Acqua, polveri sottili in atmosfera, materiali da costruzione, oggetti di uso quotidiano. Non c’è da stupirsi, ma solo da scandalizzarsi (e possibilmente prendere provvedimenti), se secondo lo studio "basta passare meno di un'ora al giorno in quel luogo per essere esposti nell'arco dell'anno a un livello di radiazioni superiore al limite massimo consentito". E' inutile ricordare che l'esposizione ad un tale livello di radioattività causa problemi che non riguardano solo le vie respiratorie, ma anche malattie congenite, la leucemia ed il cancro.

Senza riaprire un dibattito sul fatto che nella regione i tassi di mortalità legati a problemi respiratori siano il doppio del resto del Paese, né tanto meno sprecare tempo con una Areva che, ovviamente, afferma che nessun caso di cancro nella zona sia attribuibile al settore minerario, c’è da chiedersi, una volta di più, se ha senso anche solo stare a parlare di ritorno dell’energia nucleare in Italia. Un Paese nel quale chi se ne dovrebbe (o doveva) occupare, spende gran parte del suo tempo a pensare ad affari privati, e nonostante ciò sembra non sapere nemmeno se - o quando - gli viene acquistata una casa.

Ma qui si sa, l’importante è essere “padroni a casa nostra”, chiunque ce l’abbia donata. Non importa se sempre più popoli, in giro per il mondo, non possano dire lo stesso, anche e soprattutto grazie a noi e alla nostra perenne inconsapevolezza, se non incoscienza. Popoli in cui le case non te le regalano, nemmeno quando le devi costruire con lamiere di metallo radioattivo.

Fonte: terranauta

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