di Marina Forti
da Il Manifesto
Ci sono disastri più visibili di altri. È molto visibile quello avvenuto esattamente un mese fa nel Golfo del Messico, dove una piattaforma petrolifera è esplosa al largo della Louisiana provocando la morte di 11 persone e aprendo grandi falle nelle condutture che la collegavano al sottostante pozzo di proprietà della multinazionale britannica Bp. E l'attenzione dei media si capisce bene: si tratta probabilmente del più grave disastro petrolifero nella storia degli Stati uniti. I tentativi di fermare la fuoriuscita di greggio hanno dato solo scarsi risultati, mentre la marea nera è arrivata a lambire le coste della Louisiana e del Mississippi, dove sta devastando il complesso ecosistema delle zone umide del delta fluviale oltre a un'economia locale basata sulla pesca (che ora è vietata) e il turismo. A seguito del disastro, i media e il governo Usa hanno acceso i riflettori su Bp, che è stata costretta ad assumersi tutte le responsabilità; ci sono state audizioni al Congresso, il governo federale ha aperto un'inchiesta. E in questo mese il valore delle azioni di Bp è sceso del 30%.
Se lo stesso incidente fosse accaduto in Nigeria probabilmente la cosa si sarebbe risolta in qualche lancio d'agenzia, forse la notizia non avrebbe neppure raggiunto le pagine dei giornali. Nessun media internazionale in effetti ha dato notizia dell'ultimo incidente avvenuto laggiù, nel delta del Niger, dove un oleodotto della multinazionale americana ExxonMobil si è fratturato provocando una notevole fuoriuscita di petrolio. La compagnia petrolifera ha diffuso pochissimi dettagli. È noto però che è stato proprio un incidente, non attribuibile a un attacco o sabotaggio di gruppi armati locali (che spesso prendono di mira le installazioni petrolifere), e dev'essere stato abbastanza grave da costringere ExxonMobil a sospendere le esportazioni di greggio nigeriano dichiarando «force majeure». Secondo notizie ufficiose citate dall'agenzia Reuters, da quell'oleodotto sono usciti circa 100mila barili al giorno per una settimana, prima che i tecnici della compagnia riuscissero a ripararlo.
Totale: 700mila barili di greggio dispersi nei canali e acquitrini del delta del Niger. Nel Golfo del Messico, se dobbiamo attenerci alla stima di 5.000 barili per 30 giorni, sarebbero finora 150mila barili (anche se potrebbe aggravarsi parecchio, prima che Bp riesca a fermarlo). Non si tratta di fare graduatorie tra disastri: il punto è che nel caso della Nigeria nessun media internazionale ha mandato inviati e telecamere per descrivere il disastro, nessun presidente è andato in tv a dire che la compagnia petrolifera dovrà pagare, nessun filmato ci ha mostrato la melma nera che avvelena l'ecosistema, e nessuno ci dice quanto tutto questo pesa sull'economia locale.
Ovviamente, nessun dirigente della compagnia petrolifera si è precipitato a spiegare cosa stanno facendo per ripulire e bonificare la zona. E le azioni della ExxonMobil, a differenza di quelle della Bp, non hanno risentito dell'incidente. «La fuoriuscita di greggio nel golfo del Messico è una fotografia di cosa succede di routine nei campi petroliferi della Nigeria e di molti altri paesi africani», ha commentato Nnimo Bassey, attivista per i diritti umani nigeriano, capo del gruppo Environmental Rights Action (e presidente di Friends of the Earth internazionale). «Solo che in Nigeria le compagnie di solito ignorano questi incidenti, tappano il danno in qualche modo: se ne infischiano se l'ambiente e la sopravvivenza della gente locale è distrutta».
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20100521/pagina/02/pezzo/278644/
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