29 maggio 2010

Come ti disintossico dal petrolio

di Chiara Somajni - 27/05/2010









Il nostro rapporto con i combustibili fossili è secondo Rob Hopkins una dipendenza a tutti gli effetti, che va combattuta con sofisticati strumenti di comunicazione. Solo così si può cambiare mentalità e avviare la transizione verso una società strutturalmente nuova.


Rob Hopkins li definisce così: «Luoghi in cui si stia promuovendo il superamento della dipendenza dal petrolio verso modalità energeticamente meno dispendiose e più localizzate. In un processo che ha portata storica
e che si focalizza sulle potenzialità positive di questo passo». Fondatore del movimento della transizione, autore del Manuale pratico della Transizione: dalla dipendenza dal petrolio alla forza delle comunità locali (tradotto da Il filo verde di Arianna), l’inglese Hopkins incuriosisce per l’attenzione che ha posto ai problemi
di comunicazione. Difficile infatti pensare di cambiare paradigma di sviluppo senza incidere sulla mentalità, le abitudini, le aspettative delle persone.

In che modo ha inizio la transizione in un paese o in una città?
Quando un gruppo di persone si sente ispirato o motivato a farla accadere. Secondo il nostro modello la transizione avviene in dodici passi. Innanzitutto ci vuole qualcuno disposto a impegnarsi per accrescere la consapevolezza del problema nella comunità, che sappia parlare del picco del petrolio e del cambiamento climatico in modo da ispirare le persone; quindi si passa all’articolazione in gruppi diversi ognuno dei quali si prende carico di singoli aspetti. Motore della transizione è un processo di ottimismo impegnato. A seguire si
organizzano eventi di brainstorming da cui scaturisca quello che chiamiamo il piano di abbattimento energetico, una sorta di piano B generato dalla comunità, nel quale si stabilisce in che modo ci si possa svincolare dalla dipendenza dal petrolio, al contempo tracciando una visione del dopo.

Quali sono i maggiori ostacoli al salto culturale che perseguite?
Innanzitutto una cultura individualistica. C’è molto da fare per reimparare a lavorare insieme. In secondo luogo il fatto che almeno all’inizio il processo deve reggersi senza finanziamenti, attraverso l’opera di volontari
che abbiano il tempo e le giuste capacità. Inoltre c’è un problema legato alla percezione della questione ambientale e al modus operandi del movimento ecologista. Cruciali sono in particolare il linguaggio e gli argomenti impiegati, che rischiano di allontanare le persone invece di indurle a focalizzarsi sulla transizione. Noi cerchiamo di essere il più inclusivi possibile. Di fronte alla prospettiva del cambiamento molte persone

sono portate a farsi una lista mentale delle cose da fare, che così sembrano impossibili. Nella mia esperienza, al contrario, quando le persone decidono di agire le soluzioni si trovano.


Quali sono gli strumenti strategici più convincenti?
Per cominciare, a differenza degli ambientalisti, noi non abbiamo nulla contro la crescita economica, le corporation, le automobili e così via. Piuttosto diciamo che ci troviamo tutti quanti nella stessa posizione:
l’era del petrolio a basso costo e di ciò che questa ha reso possibile è finita. La vita moderna ne è però ancora del tutto dipendente per moltissimi aspetti, i trasporti, il cibo, i prodotti di consumo, il modo in cui
costruiamo le nostre abitazioni e così via. Si apre dunque una questione generale, che ci riguarda tutti: dove vogliamo andare? Che cosa possiamo fare? Nella prospettiva della transizione sosteniamo che la strada più efficace e pratica sia quella di lasciarsi alle spalle l’economia globalizzata per rafforzare quelle locali, in
termini di produzione e distribuzione del cibo, di circolazione dei soldi, di prodotti di consumo e così via. Un processo che non deve basarsi sulla paura e sul rifiuto, bensì su quelle stesse imprenditorialità e creatività
che ci hanno permesso di arrivare fin qui.


Lei sostiene che la nostra società dipenda dal petrolio non solo in termini pratici, ma anche psicologici, e ritiene pertanto che possano essere d’aiuto gli studi sulla lotta alle dipendenze. Come?
Sì, credo che centrale nella nostra relazione con i combustibili fossili sia una forma di dipendenza. Ne consumiamo in misura enorme. Se li eliminiamo abbiamo la sensazione che la qualità della nostra vita debba diminuire significativamente. La letteratura sulle dipendenze ci permette di capire meglio che cosa voglia dire cambiare, quale sia il percorso compiuto da coloro che riescono a farlo. Non basta qualche film suggestivo. Nel modello di transizione abbiamo fatto nostri diversi degli strumenti indicati dagli studi sulle dipendenze. È un approccio che si è rivelato utile.

Può fare degli esempi?
Gli studi sulle dipendenze articolano il processo di cambiamento sostanzialmente in tre stadi: pre-contemplazione, nel quale non ci si rende neppure conto dell’esistenza del problema; contemplazione, in cui ci si propone di fare qualcosa possibilmente nel giro di sei mesi; preparazione, quando ci si decide ad agire entro un mese.



http://transitionitalia.wordpress.com/


Fonte: http://www.decrescitafelice.it/

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