2 agosto 2010

UNA DEMOCRAZIA RAZZISTA ?

di Lorenzo Borrè

Un punto che accomuna il variegato mondo dei sostenitori della politica interna e internazionale israeliana, intendendosi per essa il complesso di risoluzioni e azioni adottate e poste in essere dai vari governi che hanno guidato la nazione di Israele negli ultimi sessantadue anni, è costituito dalla ferma negazione del carattere razzista del sionismo e, più in generale, dello Stato israeliano.

Nella foto: figli di lavoratori stranieri
nati in Israele
I supporter dello Stato di Israele rintuzzano le accuse di razzismo facendo rilevare che la stessa assemblea generale dell'ONU, pur avendo a suo tempo equiparato il sionismo al razzismo e alla discriminazione razziale [con al risoluzione n. 3379 del 10 novembre 1975, n.d.a], è poi tornata sui propri passi revocando tale dichiarazione con la risoluzione 48/86 del dicembre 1991, adottata a pochi mesi di distanza dalla fine della Prima Guerra del Golfo.

Le argomentazioni dei sostenitori di Israele sono poi usualmente rafforzate con l'immancabile, infamante accusa di antisemitismo, che delegittima le opinione contrastanti, senza però riuscire a sconfessarle una volta per tutte.

La questione, con l'insediamento del Netanyahu bis, rischia di diventar ancora più controversa, in quanto il governo destroide sta adottando una serie di misure ispirate (d)alla preoccupazione di quella larga parte dell'elettorato israeliano che vede minacciato il “carattere ebraico dello Stato di Israele”.

Generalmente si ritiene che la maggior preoccupazione dei governi sionisti sia costituita , a livello interno, dalla sproporzione tra le crescita demografica della popolazione palestinese (e dei cosiddetti araboisraeliani) e quella, bassina, degli israeliani occidentalizzati: sproporzione che, secondo visioni apocalittiche, potrebbe portare, prima o poi, all'implosione dello Stato ebraico.

Ma c'è un nuovo, più complesso problema che agita i sonni di Bibi Netanyahu e ne influenza l'azione: la questione della immigrazione clandestina, soprattutto di provenienza africana.

Stando al quotidiano Haaretz, la settimana scorsa, nella riunione domenicale di gabinetto, Netanyahu ha lanciato un nuovo grido d'allarme sulla questione della immigrazione clandestina: “il flusso di lavoratori illegali che si infiltrano [in Israele] dall'Africa” ha detto il Primo Ministro, “costituisce una concreta minaccia al carattere ebraico e democratico del Paese”.

Ed è per debellare questa minaccia che Netanyahu ha proposto la realizzazione di una barriera lungo il confine con l'Egitto; soluzione, questa, ritenuta tanto più urgente in quanto le voci di grave malattia del presidente egiziano Mubarak, voci la cui concretezza è certamente nota ai servizi israeliani, pongono comunque un interrogativo sulle future relazioni con lo stato arabo.

L'inscindibilità del “carattere ebraico” dalla “democrazia israeliana” è stato ribadita nuovamente ieri nell'ambito della questione relativa all'espulsione di circa 1.200 bambini, figli di immigrati clandestini, questione che da circa un anno occupa spesso le prime pagine dei giornali israeliani, ma che qui da noi non ha avuto alcuna eco.

L'amministrazione israeliana l'estate scorsa ha infatti decretato l'espulsione di oltre un migliaio di bambini nati in Israele da genitori immigrati clandestinamente; il provvedimento ha suscitato l'immediata reazione di alcune organizzazioni israeliane di difesa dei diritti civili, che sono riuscite a far rinviare, fino al termine dell'anno scolastico, l'esecuzione dei decreti di espulsione di massa.

Ebbene, Netanyahu, intervenendo sulla questione ha affermato che un aspetto è quello umanitario, l'altro quello di uno Stato ebraico e sionista.

Chiarendo il suo pensiero, il Primo Ministro ha poi affermato che occorre evitare qualsiasi incentivazione all'immigrazione non ebraica, in quanto “noi vogliamo preservare la maggioranza democratica ebraica, che ci consente di mantenere uno Stato democratico ebraico”.

In alte parole: se Israele avesse una cittadinanza in maggioranza non ebraica , verrebbe meno il carattere democratico dello Stato israeliano, lo stesso Stato che sta esaminando, in questi giorni, la possibilità di imporre ai palestinesi che chiedano un permesso di soggiorno permanente, o la cittadinanza israeliana, di prestare un giuramento di fedeltà ad uno “uno Stato ebraico e democratico”, il che -secondo Adalah, il Centro di assistenza legale per i diritti civili della minoranza araba- costituisce una misura gravissima “in quanto impone a tutti i non ebrei di identificarsi col sionismo, imponendo una ideologia politica e la lealtà ai principi dell'Ebraismo e del Sionismo”.

Non sarà razzismo, ma non avete l'impressione di un deja vu?

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