12 luglio 2010

"Addio Spagna!". Un milione di catalani invade Barcellona. Manifestazione indipendentista anche a Donostia

Mentre a Madrid si attende con ansia la finale dei Mondiali di calcio in Sud Africa, ieri pomeriggio una marea umana senza precedenti ha invaso le strade di Barcellona: più di un milione di persone – un milione e mezzo, secondo gli organizzatori – hanno sfilato per ore nel centro della principale città catalana per rivendicare l’indipendenza dalla Spagna, in risposta alla bocciatura da parte del Tribunale Costituzionale di Madrid degli articoli del nuovo Statuto di Autonomia che secondo il massimo organo legislativo spagnolo contraddicevano l’unità e l’indivisibilità della Spagna. La manifestazione – la più massiccia dimostrazione a favore dell’autodeterminazione nella storia della Catalunya dopo quella per lo Statuto del 1977 - è stata convocata pochi giorni fa da un coordinamento formato da tutti i partiti catalani, esclusi i nazionalisti spagnoli di destra del Partido Popular: da quelli della sinistra indipendentista a quelli nazionalisti liberali, passando per il locale partito socialista. Il messaggio è stato chiaro: lo slogan unificante è stato ‘Siamo una nazione. Noi decidiamo’.
 Se la piattaforma della marcia faceva riferimento alla difesa della nuova versione dello Statuto di Autonomia bocciata da Madrid, la manifestazione ha assunto un carattere ben più radicale: slogan e striscioni richiamavano apertamente ad un superamento dello Statuto stesso e chiedevano l’inizio di un rapido processo di transizione verso l’indipendenza e la riunificazione con le altre comunità di lingua e cultura catalana, Valencia e Baleari.




Oltre alle "senyeres", le bandiere catalane, il corteo era pieno di vessilli indipendentisti (la 'estelada' giallo-rossa con una stella, ispirata a quella cubana), molti gli slogan che facevano appello alla separazione dallo Stato spagnolo; il principale partito indipendentista, Erc (Sinistra Repubblicana di Catalogna) ha distribuito ai partecipanti delle enormi mani di cartone con scritto "Adeu, Espanya". Non mancava neanche uno striscione dedicato all'idolo mediatico del momento, il polpo indovino Paul, ritratto sopra un'urna nella quale si poteva leggere ‘sì’ all'indipendenza. A guidare il corteo sono stati il governatore socialista Montilla – che, contestato dagli indipendentisti, ha abbandonato il corteo prima della sua conclusione accompagnato da una schiera di guardie del corpo - accompagnato dai suoi predecessori, il socialista Pascual Maragall e il conservatore Jordi Pujol, dal presidente del Parlamento regionale Ernest Benach e dai leader degli altri partiti catalani. Ma molto visibili nel lunghissimo serpentone erano i blocchi della sinistra radicale del Cup, quelli delle sezioni catalane dei sindacati spagnoli Ugt e CCOO, quelli dei sindacati catalani, della sezione catalana di Izquierda Unida e di molte di quelle circa 1000 associazioni che avevano aderito alla marcia per l’autodeterminazione.

Nei giorni scorsi il Tribunale Costituzionale Spagnolo ha si approvato il grosso del nuovo statuto di autonomia negando però il valore giuridico del termine "nazione catalana" contenuto nel preambolo; inoltre ha negato che l'autogoverno catalano sia basato su diritti precedenti alla Costituzione del 1978 (come è il caso invece della Navarra); ha sancito la superiorità del governo centrale rispetto a quelli autonomici e ha imposto l'uso delle due lingue co-officiali (castigliano e catalano) nella scuola e nella pubblica amministrazione, senza alcuna preferenza, tornando indietro su quella ‘immersione linguistica’ nel catalano che ne ha garantito negli ultimi decenni la sopravvivenza e il rilancio. Ora in molti auspicano una massiccia disobbedienza da parte delle istituzioni catalane nei confronti di quelle statali in materia di insegnamento e di politiche culturali.

La Corte - bloccata per quattro anni da un braccio di ferro fra magistrati progressisti e conservatori – ha quindi dato ragione al ricorso presentato dalla destra del Partito Popolare, dichiarando incostituzionali un articolo in modo completo e altri 13 in parte e reinterpretando altri 27 articoli. La sentenza apre un conflitto senza precedenti tra la società catalana e le istituzioni spagnole, riaprendo un fronte che il governo del premier José Luis Rodriguez Zapatero sperava concluso felicemente quattro anni fa, oltre che uno scontro interno fra il Partito Socialista Operaio Spagnolo e il Partito Socialista Catalano. All'esecutivo interessava infatti che l'Estatut andasse in porto per un motivo fondamentale: stabilire un precedente costituzionale ed ordinato che dimostrasse la fattibilità di poter andare oltre gli attuali margini di autonomia - in gran parte rimasti sulla carta - senza travalicare la Carta fondamentale e mettere in discussione la struttura istituzionale nata, dopo la morte del dittatore Francisco Franco, dal patto tra la maggioranza dei partiti antifascisti e la classe dirigente fascista e il Vaticano. La maggior parte delle forze politiche catalane considera la decisione del tribunale "un colpo d'ascia" che snatura lo statuto approvato nel 2006 dal Parlamento di Madrid e che era già stato fortemente purificato dalle dichiarazioni e dagli articoli più invisi ai nazionalisti spagnoli.

Ora tutto il debole equilibrio su cui si basano i rapporti tra le diverse nazionalità oppresse e lo Stato Spagnolo rischia di saltare, visto che il reale destinatario del messaggio della Corte Costituzionale non era tanto la classe politica catalana - che ha ottenuto essenzialmente quanto richiesto soprattutto in materia di autogestione finanziaria - quanto quella basca. La sentenza blocca infatti qualsiasi pretesa da parte dei partiti nazionalisti baschi di decidere unilateralmente del futuro istituzionale delle due regioni autonome Euskadi e Navarra, ad esempio attraverso la convocazione di un referendum popolare sull’autodeterminazione proibito da Madrid; Madrid ha riaffermato in questo modo che gli unici binari istituzionali atti alla revisione dello Statuto di Autonomia di Gernika sono quelli già tracciati e seguiti nel caso catalano: una prima approvazione del Parlamento regionale, la discussione alle Cortes – il Parlamento Spagnolo - che certifichi la costituzionalità del documento e solo in seguito la ratifica referendaria dell'elettorato regionale.

Già negli scorsi mesi, però, un coordinamento trasversale ma egemonizzato dalle forze della sinistra indipendentista catalana ha sfidato Madrid e l’attendismo dei nazionalisti catalani moderati realizzando centianaia di referendum autorganizzati in varie località del Principato: dal primo voto nel piccolo municipio di Arenys de Munt del 13 settembre è stato un crescendo di pronunciamenti per l’indipendenza che ha strappato il controllo della situazione a socialisti e nazionalisti liberali.

Mentre per 4 ore Barcellona veniva letteralmente invasa, in contemporanea nella piccola città basca di Donostia alcuni partiti di sinistra e indipendentisti – Batasuna, Eusko Alkartasuna e Alternatiba – manifestavano per la sovranità di Euskal Herria e per esprimere la loro solidarietà nei confronti dei catalani. Nonostante un ingente schieramento di polizia in assetto antisommossa, più di diecimila persone hanno sfilato sul lungomare di Donostia dietro lo striscione che recitava ‘Siamo una nazione, autodeterminazione’ e gridando slogan a favore dell’indipendenza del Paese Basco e della liberazione dei prigionieri politici. Alla fine del corteo il deputato di Eusko Alkartasuna Juanjo Agirrezabala e la sindaca di Hernani, Marian Beitialarrangoitia, hanno letto una dichiarazione finale che affermava: «Euskal Herria è in marcia per un nuovo scenario politico con fermezza, impegno e determinazione. Facciamo appello a tutte le forze politiche, sociali e sindacali affinché lavorino alla tessitura di nuove alleanze, superando vecchie acredini e inimicizie. (...) La sentenza del TC sullo Statuto Catalano dimostra che il modello autonomico attuale o una sua eventuale riforma sono in realtà strumenti atti a neutralizzare o assimilare la volontà dei popoli basco e catalano all’interno di una cornice costituzionale che chiude ogni porta alla volontà popolare e costituisce una trappola per assimilare le nostre sovranità all’interno nell’unità indivisibile della Spagna”. Poco prima era intervenuta Elisenda Paluzie, del ‘Coordinamento per il diritto a decidere’ che sta gestendo le consultazioni popolari in Catalunya alla quale hanno partecipato finora più di 600.000 personas delle quali circa il 90% ha votato a favore dell’indipendenza.
Marco Santopadre
Radio Città Aperta

Fonte: http://www.contropiano.org/

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