L'annuncio che la nuova monovolume FIAT sarà prodotta nello stabilimento serbo di Kraguievac, e non più a Mirafiori è un bluff o una cosa seria? Per quanto possa sembrare paradossale, entrambi. Il fatto che questa notizia sia stata data dalla sede della Chrysler a Detroit (dove si è deciso lo spin off nella holding tra il settore auto e il resto), simboleggiando che è negli USA e non più Torino il centro della multinazionale, di certo rafforza i timori che Marchionne faccia sul serio. I 16mila dipendenti torinesi (di cui la metà operai di linea) più una quota ancor maggiore di salariati dell'indotto gettati sul lastrico? Marchionne si accomodi, getti pure benzina sul fuoco del conflitto sociale, vedremo se la pace sociale reggerà all'urto.
Nella partita a scacchi con lo zoccolo duro della resistenza operaia, dopo la mossa di torre a Pomigliano, non poteva che venire quella di regina su Mirafiori. In meno di un mese vengono smentiti tutti gli stolti e i finti ciechi che non volevano riconoscere il respiro strategico della mossa tattica del referendum.
Quel diktat che prospetta un regime di fabbrica neoschiavista, che intonava il de profundis al sindacato in quanto tale (non solo quello di classe), la sua fascistizzazione, non era affatto rivolto agli "irriducibili napoletani", ma ai dipendenti di tutti gli stabilimenti.
Dopo aver mentito spudoratamente, adesso, anche Tremonti e Sacconi, coi loro lustrascarpe sindacali, lo ammettono: "l'accordo di Pomigliano è l'esempio che ovunque occorre seguire".
Il segretario del più giallo di tutti i sindacati, Roberto Di Maulo della Fismic, in un gioco delle parti scandalosamente premeditato, ha svelato quale sia il vero obbiettivo di Marchionne: «Niente scioperi. Vogliamo sfidare la FIAT sul piano della concretezza, assicurando che siamo pronti a firmare a Mirafiori un accordo analogo a quello siglato per Pomigliano». (Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2010)
Sta tutto qui il secondo ricatto di Marchionne, stavolta rivolto agli operai torinesi.
Ci pare di sentirlo il manager tanto caro alla sinistra "democratica", ovvero anti-operaia: «Se volete sopravvivere dovete vendermi la forza-lavoro al prezzo che decide l'azienda. Dimenticate la contrattazione collettiva, che per quanto in modo edulcorato, vi consentiva di rappresentarvi come classe, o come soggetto collettivo. D'ora in poi, anche se voi torinesi siete stati più zelanti di quelli di Pomigliano, flessibilità totale, world class manifacturing. Ovvero subordinazione integrale. D'ora in avanti ognuno di voi è un atomo, e il rapporto di lavoro è singolarizzato. Il tempo di vita che mi consegnate, oltre alle vostre energie, appartiene integralmente all'azienda. La vostra forza-lavoro, d'ora in avanti, in barba a Marx o Keynes, diverrà davvero una merce come ogni altra: il salario dovrà figurare come il combustibile per le macchine o il foraggio per il bestiame».
Le cose si fanno dunque terribilmente serie. La classe operaia italiana —intendiamo anzitutto quella delle grandi e medie imprese, che in relazione all'inferno di quelle piccole ha continuato a godere di consistenti diritti collettivi— cloroformizzata, imborghesita, acquiescente, rimpicciolita quanto si vuole, è sbattuta con le spalle al muro, si trova anzi con una pistola puntata alla tempia. Si o No al neo-schiavismo padronale.
Chi crede che la Fiom da sola possa reggere l'urto si sbaglia di grosso. La Fiom da sola, anche dati i suoi connaturati limiti, non ce la farà. Per respingere il piano strategico della FIAT, che vincola i suoi investimenti industriali in Italia all'ottenimento delle medesime condizioni delle sue colonie in Polonia, Turchia o Serbia, occorre giungere in aiuto dello zoccolo duro di resistenza operaia.
Occorre costruire una rete, un fronte il più ampio possibile, se si vuole battere Marchionne. Siccome è necessario, ci si deve alleare col diavolo e anche con sua nonna.
La questione non è più meramente sindacale, ma squisitamente politica e sociale. E' una questione nazionale.
Che anche la Lega, che di voti operai al nord ne ha presi tanti, prometta le barricate, può far recedere solo i puristi della sinistra che fu. Le barricate in effetti, prima o poi verranno, e si scoprirà che la vecchia dicotomia sinistra-destra, ormai decotta, sarà polverizzata. Non sinistra contro destra avremo, ma classe contro classe. Di q
ui si riparte, se si vuole fare sul serio, se si vuole evitare l'ipotesi più nefasta: la guerra tra poveri.
Quel diktat che prospetta un regime di fabbrica neoschiavista, che intonava il de profundis al sindacato in quanto tale (non solo quello di classe), la sua fascistizzazione, non era affatto rivolto agli "irriducibili napoletani", ma ai dipendenti di tutti gli stabilimenti.
Dopo aver mentito spudoratamente, adesso, anche Tremonti e Sacconi, coi loro lustrascarpe sindacali, lo ammettono: "l'accordo di Pomigliano è l'esempio che ovunque occorre seguire".
Il segretario del più giallo di tutti i sindacati, Roberto Di Maulo della Fismic, in un gioco delle parti scandalosamente premeditato, ha svelato quale sia il vero obbiettivo di Marchionne: «Niente scioperi. Vogliamo sfidare la FIAT sul piano della concretezza, assicurando che siamo pronti a firmare a Mirafiori un accordo analogo a quello siglato per Pomigliano». (Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2010)
Sta tutto qui il secondo ricatto di Marchionne, stavolta rivolto agli operai torinesi.
Ci pare di sentirlo il manager tanto caro alla sinistra "democratica", ovvero anti-operaia: «Se volete sopravvivere dovete vendermi la forza-lavoro al prezzo che decide l'azienda. Dimenticate la contrattazione collettiva, che per quanto in modo edulcorato, vi consentiva di rappresentarvi come classe, o come soggetto collettivo. D'ora in poi, anche se voi torinesi siete stati più zelanti di quelli di Pomigliano, flessibilità totale, world class manifacturing. Ovvero subordinazione integrale. D'ora in avanti ognuno di voi è un atomo, e il rapporto di lavoro è singolarizzato. Il tempo di vita che mi consegnate, oltre alle vostre energie, appartiene integralmente all'azienda. La vostra forza-lavoro, d'ora in avanti, in barba a Marx o Keynes, diverrà davvero una merce come ogni altra: il salario dovrà figurare come il combustibile per le macchine o il foraggio per il bestiame».
Le cose si fanno dunque terribilmente serie. La classe operaia italiana —intendiamo anzitutto quella delle grandi e medie imprese, che in relazione all'inferno di quelle piccole ha continuato a godere di consistenti diritti collettivi— cloroformizzata, imborghesita, acquiescente, rimpicciolita quanto si vuole, è sbattuta con le spalle al muro, si trova anzi con una pistola puntata alla tempia. Si o No al neo-schiavismo padronale.
Chi crede che la Fiom da sola possa reggere l'urto si sbaglia di grosso. La Fiom da sola, anche dati i suoi connaturati limiti, non ce la farà. Per respingere il piano strategico della FIAT, che vincola i suoi investimenti industriali in Italia all'ottenimento delle medesime condizioni delle sue colonie in Polonia, Turchia o Serbia, occorre giungere in aiuto dello zoccolo duro di resistenza operaia.
Occorre costruire una rete, un fronte il più ampio possibile, se si vuole battere Marchionne. Siccome è necessario, ci si deve alleare col diavolo e anche con sua nonna.
La questione non è più meramente sindacale, ma squisitamente politica e sociale. E' una questione nazionale.
Che anche la Lega, che di voti operai al nord ne ha presi tanti, prometta le barricate, può far recedere solo i puristi della sinistra che fu. Le barricate in effetti, prima o poi verranno, e si scoprirà che la vecchia dicotomia sinistra-destra, ormai decotta, sarà polverizzata. Non sinistra contro destra avremo, ma classe contro classe. Di q
ui si riparte, se si vuole fare sul serio, se si vuole evitare l'ipotesi più nefasta: la guerra tra poveri.
Fonte: http://www.campoantimperialista.it
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