Quanto accaduto nella giornata di ieri, pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja (città non particolarmente amata a Belgrado …) e annuncio di Marchionne, sembrerebbero due eventi separati ma in realtà corrispondono alla stessa logica e allo stesso storico disegno, lo smembramento dell’ex Jugoslavia e la penetrazione nei Balcani dei potentati economico-finanziari sotto protezione atlantista.
Bisogna innanzitutto sottolineare il carattere solamente simbolico del pronunciamento sul Kosovo, in quanto l’ultima parola sulla questione spetterà all’Assemblea Generale dell’ONU, che a settembre dovrà confermare le conclusioni della Corte e indicare alle parti politiche la strada da seguire.
Stando a quanto riportato nelle scorse ore dalle varie agenzie, sarebbero tre gli scenari ora possibili:
uno scambio di territorio; la concessione di una larga autonomia alla parte nord del Kosovo – quella a maggiore concentrazione di popolazione serba; un assetto politico e territoriale analogo a quello esistente a Cipro.
Nel primo caso, si prenderebbe in considerazione un eventuale passaggio alla Serbia del Kosovo settentrionale, che ha continuità territoriale con la Serbia e che è teatro delle tensioni maggiori fra la comunità serba e quella albanese, in cambio dell’annessione al Kosovo della regione di Presevo, nel sudest della Serbia al confine col Kosovo, caratterizzata da una massiccia presenza di popolazione albanese.
”Se una parte dei serbi non sono disposti a vivere nella parte nord del Kosovo e pensano di potersi separare, allora gli albanesi della regione di Presevo sono pronti a unirsi al Kosovo”, ha detto di recente il presidente del Parlamento kosovaro Jakup Krasniqi.
Un’alternativa meno traumatica potrebbe essere la concessione al nord del Kosovo di uno statuto di forte autonomia e alcuni citano come possibile modello l’Alto Adige-Suedtirol.
“Una larga autonomia al nord e’ una soluzione possibile, ma purtroppo modelli non ce ne sono e bisogna trovarli sul terreno”, ha però osservato ieri l’ambasciatore d’Italia a Pristina Michael Giffoni, che e’ anche rappresentante speciale con il ruolo di ‘facilitatore politico’ dell’Unione europea a Kosovska Mitrovica, la citta’ del nord Kosovo letteralmente divisa in due in un settore serbo e uno albanese, e simbolo per questo della persistente contrapposizione etnica in Kosovo.
Giffoni, che ritiene difficile un ripensamento sull’indipendenza, esclude un possibile scambio di territori fra Belgrado e Pristina e sostiene di propendere piuttosto per uno statuto di forte autonomia per il nord, dove la Serbia continua a sostenere economicamente le strutture parallele.
”Tutto però va fatto guardando innanzitutto ai problemi concreti della popolazione, sia quella serba che quella albanese, a cominciare dalla regolamentazione del commercio, dal funzionamento delle dogane e delle forze di polizia, dall’erogazione dell’energia elettrica” e via dicendo.
Una terza ipotesi potrebbe ricalcare la situazione di Cipro, l’isola mediterranea divisa in due, della quale tuttavia é entrata nella Ue solo la parte greca, mentre quella sotto controllo turco fa come dire vita a sé.
Il nostro ambasciatore si e’ mostrato peraltro fiducioso e sostanzialmente ottimista sulle prospettive di soluzione della disputa in Kosovo.
”Al nord io vedo notevoli segnali di miglioramento e a Mitrovica si nota un inizio di integrazione fra serbi e albanesi”, ha detto Giffoni, per il quale gli ultimi, recenti incidenti registratisi nella zona non sarebbero il frutto di azioni organizzate.
”Del resto, anche la gente comincia a essere stanca”, ha aggiunto.
”Molto dipenderà dal primo passo che farà Belgrado dopo il pronunciamento della Corte internazionale, visto che sono stati i serbi a chiedere il suo parere”.
Ma la Serbia, per ora, non sembra intenzionata ad abbandonare la partita diplomatica e per bocca delle sue più alte cariche istituzionali ha dichiarato che “non riconoscerà mai l’indipendenza del Kosovo”, pur dichiarandosi disponibile a trattare per una soluzione condivisa e forte del sostegno di Russia e Cina (ma anche di Spagna, Argentina, Venezuela, Cipro, Romania ecc.) che hanno già ribadito come “il rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati sia uno dei principi fondamentali della legge internazionale”.
Questo nutrito gruppo di Stati (ricordiamo che il Kosovo è stato riconosciuto indipendente finora da 69 paesi su 192 membri appartenenti alle Nazioni Unite), hanno ribadito che la separazione non consensuale di una regione da uno Stato membro dell’Onu fomenterebbe i secessionismi di tutto il mondo.
Già oggi i serbi di Bosnia Erzegovina hanno alzato la voce ed annunciano l’intenzione di proclamare la propria indipendenza sulla base del parere espresso ieri dalla Corte Internazionale di Giustizia all’Aja sul Kosovo.
“La Repubblica serba di Bosnia – ha dichiarato il premier serbobosniaco Milorad Dodik citato dai media belgradesi – potrebbe adottare subito una dichiarazione di indipendenza che non viola il diritto internazionale. Il caso rappresenta un segnale positivo per proseguire la lotta per il futuro status della Republika Srpska. E’ parecchio tempo che non ci piace più far parte della Bosnia”.
E’ per questo timore che paesi con problemi di minoranze etniche al loro interno (tra i quali ad esempio cinque stati membri dell’Unione europea) si sono schierati contro il riconoscimento del Kosovo.
Sul piano giuridico, poi, non esistono norme che consentano una secessione, se si escludono quelle scaturite dal contesto coloniale.
Infine, la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, unico organo internazionalmente riconosciuto capace di deliberare su una secessione, prevede il rispetto dell’integrità territoriale della Serbia, pur ammettendo per il Kosovo una sostanziale autonomia.
Secondo i giudici della Corte, invece, la 1244 ”non preclude” la proclamazione dell’indipendenza fatta dal Kosovo il 17 febbraio 2008, in quanto i due strumenti “operano su livelli diversi”.
Al contrario della 1244, la dichiarazione di indipendenza ”é un tentativo di determinare lo status del Kosovo”.
Per i giudici, la 1244 ”non contiene proibizioni” alla dichiarazione di indipendenza e non può essere quindi interpretata come un ostacolo all’indipendenza.
Proprio su questi aspetti, il pronunciamento della Corte dell’Aja appare grottesco, fino a sfiorare il ridicolo.
Grottesco perché non tiene nemmeno conto di quanto scritto in una Risoluzione delle Nazioni Unite, il cui contenuto fu decisivo per porre fine alla guerra (molto più efficace certamente dei bombardamenti della NATO, che intaccarono solo in modo minimo l’operatività dell’esercito serbo).
Ridicolo perché tiene conto solo dei pronunciamenti di una parte, quella albanese, dimenticando l’adozione della nuova Costituzione serba, confermata da un referendum popolare, secondo la quale il “Kosovo deve rimanere, per sempre, parte integrante della Serbia” e che, quindi, allo stesso modo della dichiarazione unilaterale di Pristina “costituisce un tentativo di determinare lo status del Kosovo”.
A chiarirci le idee è arrivato tempestivamente Sergio Marchionne, che ha annunciato l’intenzione della FIAT di spostare la propria produzione in Serbia, dove la “tassazione sarebbe minore”.
Non a caso, uno dei rari autori a scrivere con cognizione di causa sulla vicenda kosovara, diversi anni fa notò come: “l’obiettivo mancato di allontanare Milosevic dal potere, non fa che ritardare un programma occidentale che vede nella Serbia un formidabile fornitore di manodopera, oltretutto una manodopera molto qualificata e a buon mercato, Secondo studi recenti, la manodopera serba, con un salario doppio di quello che percepisce attualmente, costerebbe dieci volte meno di quella immigrata in Europa. Inoltre la sua vicinanza con i mercati europei ridurrebbe enormemente le spese di trasporto. In questo modo per il mercato mondiale del lavoro la Serbia diventerebbe molto più appetibile dell’Estremo Oriente” (1).
Come giustamente rilevato nell’ultimo importante discorso tenuto dallo stesso Milosevic, le potenze occidentali fecero guerra al presidente jugoslavo come pretesto per colpire la Serbia e trasformarla in un paese del Terzo Mondo: oggi questo concetto dovrebbe essere chiaro anche a quei lavoratori italiani che nei prossimi mesi verranno lasciati a casa, grazie alle “munifiche” opportunità offerte dalla delocalizzazione produttiva degli stabilimenti FIAT.
Come in un gioco ad incastro, la questione serba e quella del Kosovo e Metohija, in particolare, rappresentano un esempio significativo della strategia globalizzatrice a guida statunitense, che vorrebbe uniformare tutti i popoli del pianeta ai dettami del nuovo ordine mondiale-multinazionale, perché ne riassume le principali motivazioni di carattere economico (dominio del libero mercato), geopolitico (occidentalizzazione del mondo) e militare (influenza atlantista).
Vedremo nei prossimi mesi se le potenze eurasiatiche saranno in grado di bloccare questa offensiva e quali saranno le loro mosse, aldilà delle inevitabili dichiarazioni di condanna per il pronunciamento della Corte giunte in queste ore.
Stefano Vernole
redattore della rivista “Eurasia”; è autore dei libri La lotta per il Kosovo e La questione serba e la crisi del Kosovo.
1. Sandro Provvisionato, “UCK: l’armata dell’ombra”, Gamberetti, Roma, 1999.
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