di Fabrizio Casari
Delicata. O, addirittura, pericolosa. Sono due delle possibili definizioni per la crisi diplomatica e politica tra Venezuela e Colombia. Datano già alcuni giorni, da quando cioè il governo di Bogotà ha accusato senza mezzi termini Caracas di dare ospitalità ai guerriglieri colombiani delle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e dell’Eln (Ejercito de Liberacìon Nacional) sul suo territorio.
Lo ha fatto nel corso di una riunione dell’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani. Niente di nuovo, Uribe aveva fatto in precedenza le stesse accuse all’Ecuador di Correa. Bogotà ha anche annunciato che denuncerà il Venezuela davanti alla Corte Penale internazionale per l'accoglienza che riserva sul suo territorio ed esponenti delle FARC e accusa per questo Caracas di perpetrare “crimini contro l'umanità”.Fonti politiche colombiane, citate dall'emittente Caracol Radio, parlano addirittura di membri dell'Eta, cooperanti di Ong straniere e militanti "di ideologia bolivariana" che avrebbero visitato campi militari delle Farc nel territorio venezuelano. Insomma, una sorta di gruppi vacanze con tanto di torpedoni che il governo venezuelano organizzerebbe così, per farsi del male, come un Tafazzi qualsiasi.
Il quotidiano spagnolo El Pais non si tira indietro e si associa alla campagna: come da alcuni anni a questa parte, se c’è da sputare veleno sulla sinistra latinoamericana, lo fa senza risparmiarsi. El Pais ricorda così che Madrid tiene da tempo sotto osservazione i possibili contatti tra ETA e FARC, e sostiene che esponenti del gruppo terroristico basco sarebbero stati in campi delle FARC con l'aiuto dell'esercito venezuelano, che avrebbe condotto i visitatori, e li avrebbe fatti passare per diversi posti di blocco.
Il Venezuela ha respinto le accuse, non soltanto perché - è ovvio - ha ben altro da fare che promuovere il turismo guerrigliero, ma anche perché in nessun momento il Presidente per procura della Colombia, Uribe, ha offerto prove degne di tale nome a supporto delle sue accuse. Del resto, chiedere a Bogotà supporti documentali alle sue accuse sarebbe chiedere troppo.
E’ invece assodato, giacché confermato da prove innumerevoli, che il governo di Bogotà si è adoperato da sempre - e con maggior lena in questi ultimi anni - nella fabbricazione di documentazioni false circa gli aiuti ai guerriglieri che verrebbero dai paesi confinanti (Ecuador e Venezuela in primo luogo) e, ancor di più, circa le presunte responsabilità della guerriglia nelle operazioni genocide, condotte invece dai paramilitari colombiani nelle aree circondanti gli insediamenti delle FARC e dell’ELN. Villaggi rasi al suolo e stragi ripetute di civili accusati di “collaborazionismo” con la guerriglia, sono il marchio di fabbrica delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), i feroci paramilitari colombiani, che vengono poi spacciate mediaticamente come crimini della guerriglia. E, come già avvenuto con l’Ecuador, Bogotà non lesina nemmeno aggressioni militari nelle zone periferiche dei paesi vicini, salvo poi montare show mediatici a posteriori che ne giustifichino l’operato.
Ne hanno appena avuto riscontro sei parlamentari europei che hanno incontrato testimoni oculari di alcune di queste stragi. La delegazione del P.E. ha anche visto la fossa comune dove sono stati sepolti duemila contadini e le testimonianze del coinvolgimento dell'esercito colombiano nei massacri sono state chiare ed inequivocabili. C'erano anche europarlamentari spagnoli, ma di questo El Pais non scrive.
Ma torniamo alla crisi diplomatica. Caracas ribatte duramente alle accuse di Bogotà e rilancia: state tentando un’operazione militare contro il Venezuela. I servizi d’intelligence venezuelani, infatti, sono entrati in possesso d’informazioni abbastanza dettagliate circa il piano colombiano-statunitense in atto. La denuncia é stata fatta dal presidente Chavez in persona, che ha definito la fonte, già verificata in occasioni passate, assolutamente credibile.
Quello che sarebbe allo studio è un nuovo colpo di Stato, ma con modalità diverse da quello fallito nel 2002. Caracas, infatti, è considerata roccaforte chavista inespugnabile, come dimostrato proprio in occasione del fallito golpe. Per questo il piano prevedrebbe sì l’eliminazione di Chavez tramite sicari paramilitari, ma questa dovrebbe avvenire fuori da Caracas, in occasione di un viaggio del Presidente all’estero o in zone di frontiera del paese. Anche per questo il presidente venezuelano ha rinunciato al previsto viaggio a Cuba.
Non sarebbe un fatto inedito l’arrivo in Venezuela di uno squadrone della morte destinato ad uccidere il Presidente. Nel 2004, due anni dopo il golpe fallito, vennero scoperti ed arrestati un gruppo di paramilitari colombiani a Caracas. Erano cecchini e possedevano armi, mappe ed altra attrezzatura di tipo militare adatta a compiere attentati. Stesso dicasi per il recente arresto del “Panzon”, al secolo, Chavez Abarca, il terrorista agli ordini di Posada Carriles - quindi della FNCA (Fundacìòn Nacional Cubano Americana) e della CIA, che di Posada sono rispettivamente finanziatori e reclutatori - arrestato ed estradato a Cuba, dove era ricercato per numerosi attentati e omicidi dall’inizio degli anni ’90.
La prima fase del piano golpista consisterebbe in un’operazione di tipo mediatico: accusare il Venezuela di ospitare terroristi per preparare così la comunità internazionale ad una tensione che, successivamente, innescherebbe il conflitto armato. Che inizierebbe con il dispiegamento di un contingente armato statunitense in Costa Rica (già avvenuto nei giorni scorsi), la cui missione sarebbe appoggiare l’operazione in maniera aperta ove fosse necessario, dal momento che - secondo i golpisti - le reazioni delle FARC e dell’ELN in Colombia, così come quella (possibile) di cubani e nicaraguensi, renderebbero impossibile alla Colombia portare a termine il piano con le sue sole forze.
Ecco quindi che l’inaspettato quanto repentino arrivo di migliaia di marines in Costa Rica, accompagnati da 46 navi da guerra e 200 elicotteri miltari modello Apache, sembra voler indirettamente confermare almeno lo scenario delle forze in campo e i nessi organizzativi tra i diversi elementi del progetto golpista. Il piano vedrebbe anche la possibilità di neutralizzare una parte della Forza armate venezuelane, alla quale verrebbero promessi denaro e ruoli nell’esercito del dopo-golpe. Ex ufficiali venezuelani fungerebbero da collegamento tra i golpisti e i militari locali disposti a tradire il loro paese e il loro governo a vantaggio di forze straniere.
Insomma, gli ingredienti del colpo di Stato ci sarebbero tutti, a cominciare dalla campagna mediatica che indica l’obiettivo come un "complice dei terroristi". Non è forse quanto venne fatto per giustificare la guerra negli anni ’80 con i sandinisti, accusati di aiutare i guerriglieri in El Salvador? E non è quanto venne fatto con l’invenzione della armi di distruzione di massa in Irak? Si prepara il terreno e si semina, si tasta il polso alla reazione internazionale e si vede se e come procedere.
Ora non è chiaro se l’operazione andrà avanti o se verrà rimandata. Ma certo è che la prima parte, cioè quella inerente alla disinformazione attraverso false accuse e allo spiegamento di forze militari è in corso. Bogotà ha dato trenta giorni di tempo a Caracas per rispondere delle accuse, come se un protettorato potesse lanciare ultimatum a una nazione sovrana. La risposta venezuelana non si è fatta attendere e Chavez, che ha già rotto le relazioni diplomatiche, ha chiesto un’immediata marcia indietro alla Colombia, augurandosi che il nuovo Presidente Santos, (che entrerà nelle sue funzioni il prossimo 7 Agosto ndr) possa riprendere i fili del dialogo tra i due paesi. Gli sviluppi della crisi possono essere diversi, dipenderà dall’urgenza di Washington di liberarsi di Chavez e dalla disponibilità a pagare il costo politico e militare dell’operazione.
Ad alzarlo, almeno negli studi di fattibilità dell'operazione che il Pentagono e la Casa Bianca dovranno esaminare se vogliono portare il progetto a compimento, ha pensato Cuba. Raul Castro, intervenuto in un convegno a L’Avana, dove si celebrava la firma di 139 accordi economico-commerciali tra l’Avana e Caracas, ha ribadito che “Cuba sostiene il diritto del Venezuela a difendersi da minacce e provocazioni e, nel caso nascessero problemi con chiunque, nessuno potrà dubitare da quale parte si schiererà Cuba”.
Fonte: http://www.altrenotizie.org
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