Al Salone del Gusto di ottobre non troverete salmone affumicato, abbiamo risposto no alle richieste dei produttori. Lo abbiamo fatto a malincuore (alcuni affumicatori sono amici storici di Slow Food) e qualcuno non l’ha presa bene. La spiegazione è semplice, anche se drammatica: l’allevamento di salmone non è più sostenibile. A fronte del calo degli stock di salmo salar gli allevamenti si sono moltiplicati, con l’exploit vertiginoso del Cile, secondo produttore mondiale dopo la Norvegia. Consumiamo oltre 1,5 milioni di tonnellate di salmone allevato a fronte di meno di 1 milione di selvaggio. Ma a che prezzo? Innanzitutto al prezzo di tutto pesce grasso con cui sono nutriti salmoni, predatori carnivori e voraci: occorrono 5 kg di aringhe o sardine per produrre 1 kg di salmone.
Poi c'è l’inquinamento genetico (i pesci allevati hanno un patrimonio genetico più povero di quelli selvatici, con i quali si accoppiano quando scappano dalle gabbie) e l'introduzione di questa specie in aree che non la contemplavano: il salmo salar è tipico solo delle coste scozzesi, in tutti gli altri mari è specie aliena. Infine ci sono le scorie che si depositano sui fondali degli allevamenti, provocando asfissia biologica, riduzione di biodiversità, inquinamento. In meno di vent’anni, il salmone allevato è arrivato su molte tavole: ma i costi ambientali li paghiamo tutti e li pagheranno anche le generazioni future. Ecco perché facciamo squillare la campana d’allarme: e, come ammonisce Hemingway, non chiedere per chi suona, suona per te.
di Piero Sardo
da Agricoltura - La Stampa 19/07/10
Fonte: http://www.slowfood.it/
23 luglio 2010
Quel salmone è troppo allevato
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