Di Vittorio Arrigoni, da Gaza City.
Mercoledì al fianco di un centinaio di manifestanti palestinesi siamo tornati a Nahal Oz.
A nord-est di Gaza e dinanzi al confine abbiamo sfilato in protesta contro l’assedio e la confisca di terre e per ricordare Ahmed Salam Deed, ragazzo ventunenne ucciso nella stessa zona in una analoga manifestazione pacifica il 28 aprile scorso.Per questo omicidio a sangue freddo, per questo puro atto di terrorismo di stato israeliano, le organizzazioni per i diritti umani Adalah e Al-Mezan hanno recentemente richiesto una indagine che riconosca e punisca i soldati in quanto hanno “violato il codice penale d’Israele così come la legge internazionale”. Le due organizzazioni non governative hanno allegato alla loro denuncia un video che mostra effettivamente i soldati sparare proiettili letali indiscriminatamente conto dimostranti disarmati ed distanti dal confine. Pressoché la quotidianità qui a Gaza e quello che si è ripetuto anche questa settimana.Le Nazioni Unite che ci avevano garantito la presenza di una loro jeep a distanza di sicurezza per monitorare gli eventuali crimini israeliani ai danni dei civili non si sono fatti vedere: abbiamo ricevuto un laconico sms dal dipartimento dei diritti umani in cui si scusavano per la loro assenza, non avendo ottenuto il coordinamento con l'IDF (l'esercito israeliano, ndr).
In compenso una volta arrivati sul luogo, altre 5 jeep ci aspettavano, con i cecchini israeliani pronti ad aprire il fuoco. Fuoco che non è tardato a sfrecciare di poco sopra le nostre teste ancora prima che mettessimo piede nella fantomatica “ buffer zone”, la zona cuscinetto di terra palestinese dinanzi al confine, di fatto confiscata da Israele.
Evidentemente, i soldati israeliani informati dai funzionari dell’ONU della nostra presenza a Nahal Oz quel giorno, a quell’ora si sono fatti trovare pronti per darci il benvenuto: l’offerta dell’ONU di sostegno alla nostra lotta non violenta ci si è ritorta contro mutandosi in coordinamento con gli israeliani per venire a spararci più agevolmente. E tante grazie a Ban Ki- Moon se per poco non ci rimanevamo secchi.
Per la prima volta da quando abbiamo iniziato con i palestinesi queste manifestazioni pacifiche, ho visto gli esponenti più anziani ed esperti del Comitato Popolare contro la ‘zona cuscinetto’ mollare le bandiere e filarsela a gambe levata in preda al panico: i soldati hanno sparato per colpire anche mercoledì e per puro caso abbiamo portato tutti a casa la pelle.
Al termine di ogni giornata in cui da essere umani ci ritroviamo tramutati in bersagli viventi, mi chiedo cosa passi nelle menti di quei soldati che non esitano a eseguire un ordine anche se ciò significa sparare a donne, bambini, vecchi, civili disarmati e indifesi. Forse lo fanno perché accecati da un odio impartito in anni e anni di lavaggio del cervello, forse per discriminazione razziale, per attaccamento ad una bandiera, anche quando essa è effige di terrorismo, come è avvenuto in acque internazionali ai danni della nave turca Mavi Marmara o in mille e più episodi, qui a Gaza e in West Bank.
La superiorità ebraica sugli arabi in Israele è realmente una lezione impartita nelle scuole e nelle accademie militari fin dalla più giovane età, e questo può far comprendere alcuni atti dell’esercito più immorale del mondo, da Sabra e Shatila fino alla Freedom Flotilla.
Questo almeno è quello che sostiene Yonatan Shapira, per molti anni pilota di elicotteri Blackhawk e capitano di una unità di elite delle Forze aeree israeliane. Yonatan si è rifiutato di prendere parte ad altro attacchi aerei in zone densamente abitate della Palestina occupata, vista l'alta concentrazione di civili tramutati in ‘danni collaterali”. Quando Yonatan è stato chiamato a giustificare il suo rifiuto dinnanzi al generale Gen. Dan Halutz così gli ha chiesto: “Lei accetterebbe di sparare missili da un apache contro un’ automobile su cui viaggia un uomo ricercato, se stessa guidando per le strade di Tel Aviv, ben conscio che questa azione potrebbe comportare la morte di civili innocenti che si trovano a passare in quell’istante?”
“Le azioni degli ebrei devono essere valutate nella prospettiva della obiettiva superiorità degli ebrei sugli arabi”, è stata la pronta risposta del generale, eludendo il merito della domanda.
Jonatan e i suoi compagni che hanno detto “NO!” a degli ordini eticamente e legalmente ingiusti, li chiamano refusenik in Israele, e per la loro coraggiosa scelta, subiscono anni di prigione, e l’emarginazione a vita in uno stato che li considera dei vili traditori.
Sono solo un paio di migliaia i refusenik, troppo pochi per pensare che la loro influenza possa contaminare la pace in un paese dove i soldati che sparano senza problemi di coscienza sono più di 600 mila, però, insomma, per noi che subiamo questo “fuoco superiore” ogni giorno è un segnale incoraggiante.
La settimana scorsa, Yonatan Shapira, accompagnato dalla nostra attivista Free Gaza Movement Ewa Jasiewicz, si è recato in visita alle rovine del ghetto di Varsavia.
Con della vernice spray gli attivisti hanno scritto sul un muro originario del ghetto: "Liberate tutti i Ghetti", in ebraico, e "Gaza e Palestina Libere”, in inglese.
Yonatan al termine della visita ha poi dichiarato: "La maggior parte della mia famiglia proviene dalla Polonia e molti dei miei parenti sono stati uccisi nei campi di sterminio durante l'Olocausto. Quando cammino in quello che è rimasto del ghetto di Varsavia non riesco a smettere di pensare alla gente di Gaza che non solo è reclusa in una prigione a cielo aperto, ma vien continuamente bombardata da aerei da combattimento, elicotteri d'assalto e droni, pilotati da gente a cui ho obbedito prima del mio rifiuto, nel 2003”.
Ha anche aggiunto: “Crescendo mi è stato sempre insegnato che le atrocità contro il popolo ebraico sono successe perché il mondo allora rimase in silenzio. Io quindi non posso tacere. Il popolo ebraico doveva essere liberato dai ghetti, e ora gli israeliani hanno bisogno di essere liberati dai crimini del proprio governo. Ognuno di noi deve prendere parte a questa lotta globale per la giustizia, e sostenere il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, non solo per il bene del popolo palestinese, ma anche per gli israeliani”.
Ha anche aggiunto: “Crescendo mi è stato sempre insegnato che le atrocità contro il popolo ebraico sono successe perché il mondo allora rimase in silenzio. Io quindi non posso tacere. Il popolo ebraico doveva essere liberato dai ghetti, e ora gli israeliani hanno bisogno di essere liberati dai crimini del proprio governo. Ognuno di noi deve prendere parte a questa lotta globale per la giustizia, e sostenere il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, non solo per il bene del popolo palestinese, ma anche per gli israeliani”.
La mia compagna Ewa ha sottolineato: “Yonatan avrebbe potuto essere il pilota del Blackhawk che ha calato il commando sulla navi Marmara Mavi responsabile dell’uccisione di nove attivisti della nostra flottiglia. Io avrei potuto essere una di quelle vittime. La Polonia è piena di rovine di ghetti e campi di sterminio e di santuari dedicati a coloro che hanno sacrificato la loro vita in difesa della loro comunità e non solo, nella resistenza al fascismo.
La gente qui deve svegliarsi e rendersi conto che le occupazioni e i ghetti non si sono estinti con la fine della seconda guerra mondiale. Queste tattiche e strategie di dominio e di controllo su altre persone e terre sono presenti oggi in Palestina e vengono perpetrati dallo Stato di Israele. Abbiamo la responsabilità di liberare tutti i ghetti e porre fine a tutte le occupazioni".
Da oggi sopra il ghetto di Varsavia sventolano quelle bandiere bandite a Gerusalemme e fuse col piombo a Gaza, qui le foto:
Restiamo Umani
Vittorio Arrigoni per Infopal
Fonte: http://www.infopal.it
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