Ein El-Hilweh – Libano meridionale, 27/07/10
Dopo 5 giorni siamo già entrati a pieno ritmo nella vita del campo. E' difficile spiegare l'atmosfera da cui siamo circondati. Per noi, in fondo, anche se non ci stiamo risparmiando, anche se lavoriamo, sudiamo, non dormiamo, questo viaggio ha comunque una fine. Ma la gente che resta?
Le persone che vivono qui e che qui sono state spinte a forza, come fanno? Vivere dentro un campo profughi vuol dire innanzitutto che è preclusa ogni possibilità di vita degna di tale nome. Le cose che non si possono fare o avere sono tantissime. Se sei giovane, e vuoi studiare, qui c'è solo la scuola dell' UNRWA (Agenzia per il soccorso e l'occupazione dei profughi Palestinesi), che non garantisce niente.
Si arriva alle superiori, ma una classe contiene anche più di 50 alunni, i libri sono di scarsa qualità e non sufficienti per tutti, certo si può studiare nelle città libanesi, soprattutto per l'università, ma il costo, per una famiglia palestinese che vive nel campo, è esorbitante, per cui gli studenti sono costretti a lavorare ricevendo salari minimi.
I genitori si preoccupano, non sanno cosa darebbero per garantire ai figli un minimo di istruzione o un futuro meno difficile. La dispersione scolastica cresce, del resto la scelta è obbligata se vuoi mangiare! L'economia non gira, è ovviamente inceppata, spesso ingegneri, medici, gente specializzata, si trova ad aprire un piccolo negozio o vendere panini, pur di guadagnare degli spiccioli.
Lavorare fuori vuol dire guidare un taxi, e questo perché, in Libano, ai profughi sono negati 72 diversi tipi di lavoro! Per non parlare della sanità! Qui dentro esistono due cliniche pubbliche gestite dall'UNRWA, un ospedale privato con speciale amministrazione dell'FPLP, e quattro pronto soccorso. Ma non tutto, anche questa volta, è garantito, i casi più gravi, che richiedono operazioni, devono andare fuori e pagare, inoltre sono così tanti i pazienti che non c'è il tempo per visite approfondite, e per qualsiasi problema vengono prescritte aspirine. Aspirine per tutto! Qui dentro nulla è facile. Il campo lo hanno costruito gli uomini, con le loro mani, mattone dopo mattone, per dare un tetto alle proprie famiglie, mentre le donne lavoravano nelle città adiacenti facendo le pulizie. Una costruzione sull'altra, fili della luce aggrovigliatissimi, non ci sono quasi marciapiedi, due soltanto le strade principali, attraverso cui possono circolare le macchine, a volte non si passa.
Parliamo di quasi 80.000 persone concentrate in un chilometro quadrato di terra. I vicoli interni costituiscono un labirinto, sono così stretti che si cammina in fila indiana! Acqua e luce vanno e vengono di continuo (mentre scrivo è andata via l'acqua, vorrei solo bagnarmi il viso!). Difficoltà e sacrifici sono stati distrutti nell'82, quando Israele, con bombardamenti e carri armati, ha raso al suolo il campo. E' incredibile come questo popolo non si arrenda mai! Hanno iniziato la ricostruzione e hanno fatto passi avanti, ora quasi tutte le case hanno un tetto vero, al posto di quello in lamiera, che porta caldo d'estate e freddo in inverno. In questo marasma trascorrono il loro tempo i bambini, sparandosi addosso con pistole-giocattolo. Loro sono nati qui dentro, gli hanno dovuto spiegare che sono palestinesi e che si trovano in tale situazione per colpa di uno stato criminale che tanti anni fa, ha privato i loro nonni e i loro padri della terra che gli apparteneva. Ognuno conserva con cura i documenti di proprietà, firmati dalle autorità turche prima e da quelle inglesi dopo. Sono legalmente irreprensibili, eppure profughi, ingabbiati qui dentro.
Questo posto è un carcere, peccato che chi vi è recluso non ha commesso alcun reato! Un muro con filo spinato circonda tutto il campo, ci sono chek-point con soldati libanesi ad ogni entrata ed altri posti di blocco nei dintorni. Gli stranieri, senza permesso non entrano e devono avere sempre il passaporto alla mano. Anche i palestinesi devono mostrare a volte la loro blue card, la carta dei rifugiati.
Adesso che abbiamo iniziato i lavori di ripresa, giriamo di più e parliamo con tante persone, cerchiamo con discrezione di fare domande su tutto, la gente si sente abbandonata. Vogliono parlare, e lo fanno con calore, hanno tanta rabbia, vogliono essere ascoltati, non si sentono più rappresentati da nessuno! Le divisioni interne fra gruppi, partiti, movimenti, non aiutano.
Nonostante tutto, la voglia di vivere è tantissima, la gente è molto socievole e accogliente, se andiamo a trovare qualcuno, non c'è una volta che non ci facciano accomodare nella migliore stanza e ci offrano the, caffè, bevande varie. Questo è un popolo molto civile.
Tante sarebbero le cose da scrivere, tante quelle che scopriamo ogni giorno. Adesso mi fermo, a presto.
da http://www.sumud.info/
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