Pierluigi Bersani dovrebbe spiegare cosa ha voluto dire sostenendo il 6 luglio che: «Non vorrei che dopo Berlusconi arrivasse Chávez; o il Parlamento riprende il suo ruolo o non c’è libertà per nessuno» e aggravando tale dichiarazione il 7 luglio affermando: «Quando ieri ho detto che dopo Berlusconi si rischia Chávez mettevo in guardia da questo meccanismo pericolosissimo perché o ribadiamo la democrazia parlamentare o prendiamo un'altra strada, un meccanismo populista incombente». Vari commentatori, tra i quali Marco Travaglio, hanno avuto gioco facile nell’affermare che Berlusconi sarebbe da 16 anni ben peggiore del presidente bolivariano. Resta veramente triste che il segretario del Partito democratico (come se fosse un Capezzone qualsiasi) prenda Chávez come parametro battutaro dei suoi pregiudizi rispetto ad un’esperienza di governo, pur complicata, che invece farebbe bene a studiare.
Per esempio, in tempi di riforma Gelmini dell’Università, lo sa Bersani che in 10 anni in Venezuela la quota del PIL destinata alla ricerca scientifica è aumentata del 2.300%? Per un paese come l’Italia destinato a lasciare il mondo sviluppato per posizioni di retrovia, il Venezuela chavista sta puntando forte sulla ricerca moltiplicando per 23 gli investimenti.
Sa o non sa che, complici i medici cubani, la mortalità infantile in Venezuela in dieci anni è oggi di un terzo di quanto non fosse al tempo del fondomonetarismo assassino dei Moisés Naím e dei Carlos Andrés Pérez?
Sa o non sa che il Venezuela è il primo donatore umanitario del continente affiancando gli Stati Uniti laddove l’Italia è tra gli ultimi dell’OCSE e il più facilone nel non rispettare i patti? Cosa sa Bersani, un europeista convinto, della forza della politica integrazionista latinoamericana nella quale Hugo Chávez condivide i meriti con leader come Lula o Nestor Kirchner?
Sa o non sa che mentre in Italia la concentrazione mediatica è massima (solo colpa di Berlusconi o anche di chi non si è opposto con la dovuta durezza?) in Venezuela oggi parte del latifondo mediatico è stato redistribuito tra centinaia di media diversi (cosa che porta i monopolisti a denunciare la censura)?
Sa o non sa Bersani che mentre in Italia l’indice Gini che misura la povertà è in crescita in Venezuela i valori stanno da anni letteralmente crollando? Nel 1997 i venezuelani in povertà erano il 61% e quelli in estrema povertà il 29%. Oggi, dopo un decennio di democrazia partecipativa, siamo scesi a 26 e 7% rispettivamente. Le par poco?
Sarebbe facile continuare ricordando che quello che Bersani chiama “populismo” come fosse un marchio d’infamia, per centinaia di migliaia di giovani venezuelani significa per la prima volta nella storia delle loro famiglie la possibilità di accedere a studi universitari, o avere accesso all’acqua potabile, o per gli anziani ottenere una pensione sociale.
Certo con questi dati straordinariamente positivi non si possono negare gli enormi problemi che continuano a pesare sul Venezuela, dall’inflazione alla violenza, dalla sopravvalutazione del bolivar alla corruzione all’ancora lontanissima uscita dalla schiavitù della monocultura petrolifera.
Ma è sicuro Pierluigi Bersani di poter usare come parametro negativo il presidente Chávez per i suoi colpetti di fioretto contro quel politico, Silvio Berlusconi, che da 16 anni sta coprendo di vergogna l’Italia agli occhi di tutto il mondo?
Fonte: http://www.giannimina-latinoamerica.it/
12 luglio 2010
Quello che Bersani fa finta di non sapere di Hugo Chávez
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