16 luglio 2010

Si deve proprio salvare la moneta unica europea?

Dopo l'orgia speculativa, l'austerità per tutti (o quasi)
«Se l'euro dovesse fallire - annunciava il cancelliere tedesco Angela Merkel il 13 maggio 2010 - è l'Europa stessa che fallisce». Undici anni dopo la creazione dell'euro, la Banca centrale europea ha rinunciato a tutti i suoi principi per cercare di contenere la crisi finanziaria. La parola d'ordine è una sola: salvare la moneta unica. Inchiesta sui fondamenti di questo volontarismo europeista e sui suoi beneficiari.

di Akram Belkaïd*

«Siamo sfuggiti di poco a uno scenario catastrofico, che avrebbe potuto portare alla scomparsa dell'euro», rabbrividisce un alto funzionario europeo a Bruxelles(1). Quasi due anni dopo il trauma prodotto dal fallimento della banca Lehman Brothers, l'Europa e l'intero mondo della finanza avrebbe di nuovo rischiato il peggio. Venerdì 7 maggio la moltiplicazione degli attacchi speculativi contro il debito sovrano greco, spagnolo e portoghese hanno rischiato di provocare una crisi sistemica.

«Tutti gli indici borsistici sono crollati, c'è stato un aumento massiccio dei tassi obbligazionari per molti paesi, il mercato interbancario è stato sottoposto a forti tensioni. Si sono ripresentati tutti i sintomi che avevano preceduto la crisi dell'autunno 2008», ha spiegato Christine Lagarde, ministro dell'Economia francese (2).

Nei giorni successivi a questo nuovo «venerdì nero» e all'annuncio della creazione - estremamente laboriosa - di un «meccanismo europeo di stabilizzazione» di 700 miliardi di euro per andare incontro ai paesi con difficoltà di bilancio, i dirigenti europei hanno continuato a riaffermare la loro volontà di salvare il soldato euro. Senza neanche rendersene conto, queste dichiarazioni rappresentavano un cambiamento radicale rispetto a più di un decennio di discorsi volontaristici in cui i dubbi sull'affidabilità della moneta unica erano allontanati con disprezzo, imputati alle iniziative sediziose degli euroscettici o alla meschinità dei critici americani dell'euro, fra i quali andavano annoverati economisti come Milton Friedman e Martin Feldstein. Il risveglio è stato brutale. «Oggi ci si rende conto che l'euro è stato creato senza neanche chiedersi se c'erano dei rischi che potevano minacciarlo. Lanciare una moneta unica senza una guida europea per gestire e attenuare i divari in termini di competitività, di bilancia dei pagamenti, di differenze demografiche o di bilancia commerciale è stata un'iniziativa del tutto incosciente», riconosce l'alto funzionario europeo.

Nel frattempo le dichiarazioni di economisti famosi sui rischi di implosione della zona euro hanno reso ancora più drammatiche le turbolenze dei mercati finanziari. «La crisi finanziaria greca mette in pericolo la sopravvivenza della zona euro. Ormai non si può escludere un suo smembramento», osservava Nouriel Roubini, professore di economia all'università di New York (3). «Una tesi molto diffusa parla della nascita di due zone monetarie in Europa», sintetizza l'economista Klaus Abberger, dell'istituto tedesco di congiuntura Ifo. «Una sarebbe incentrata su una moneta forte e riguarderebbe paesi come la Germania, l'Olanda e l'Austria, mentre l'altra disporrebbe di una moneta più debole che corrisponderebbe alle esigenze di paesi come Grecia, Spagna o Italia». L'economista francese Jean-Pierre Vespirini ritiene che allo stato attuale l'Unione economica e monetaria (Uem) non sia possibile e che «la soluzione meno peggiore sarebbe probabilmente l'uscita della Germania» dalla zona euro (4).

Morto all'istante In verità nessuno intravede le modalità concrete di una tale ricomposizione: un'incertezza giuridica sapientemente alimentata fin dalla nascita della moneta unica circonda la questione dell'uscita di uno o più membri dall'Uem. «Tutti ne parlano, ma nessuno sa come la Grecia potrebbe lasciare la zona euro. non ci sono procedure concrete. Lo stesso governo greco non ha alcuna idea sul modo in cui dovrebbe organizzare la reintroduzione della dracma», riconosce a questo proposito un diplomatico francese ad Atene.

In ogni modo per i dirigenti europei non è il momento di pensare a una tale eventualità - quanto meno da un punto di vista ufficiale.

Mentre la crisi greca avrebbe potuto fornire l'occasione di un bilancio senza concessioni di undici anni di unione monetaria e di politiche economiche molto restrittive, qualunque iniziativa di rimettere in discussione l'euro e il patto di stabilità è assimilata all'apocalisse.

Fine della costruzione europea e del mercato unico, aumento dei tassi di interesse, fallimenti bancari, protezionismo e battaglie monetarie, sono tutti argomenti che dovrebbero convincere che non vi è grande utilità nella moneta unica europea.

«Se la zona euro dovesse sparire, le barriere commerciali ritornerebbero nello spazio di una notte - afferma Denis MacShane, ex ministro per gli Affari europei inglese. Perché i produttori di olio d'oliva italiani dovrebbero accettare che i loro concorrenti greci beneficino di un enorme vantaggio passando da un euro caro a una dracma debole? Il libero commercio non sopravvivrebbe in Europa se le nazioni dovessero tornare alle loro vecchie monete e alle svalutazioni competitive» (5). Per l'economista Patrick Artus un paese che scegliesse di lasciare la zone euro «morirebbe all'istante», e cita l'esempio della Spagna che prende in prestito sui mercati a interessi decennali del 3,8%: «Questo tasso salirebbe subito al 20% se ritornasse alla sua moneta», afferma l'economista. L'ex primo ministro Edouard Balladur ritiene che «se la zona euro scomparisse, l'Europa crollerebbe e uscirebbe dalla storia» (6).

Queste reazioni non sono prive di significato, dimostrano in primo luogo che il pensiero unico che era prevalso alla nascita dell'euro è ancora presente e rasenta il fanatismo. In realtà niente dimostra oggi che la Grecia, nello scegliere fra i due mali, non abbia interesse a lasciare la zona euro. «Imporre alla Grecia una pesante austerità facendo credere che ce la farà da sola in un contesto di recessione interna, di probabile spirale deflazionista e di crescita europea sicuramente bassa, significa innescare una bomba a orologeria che potrebbe costare molto caro all'Europa», avverte l'economista Michel Aglietta, per il quale sarebbe stato più prudente riconoscere «la necessità di una ristrutturazione del debito greco», anziché chiudersi nello slogan «nessun fallimento, nessun salvataggio, nessuna uscita dall'Unione economia e monetaria» (7).

Chi ha causato a tempesta valutaria In secondo luogo la difesa a tutti i costi dell'euro diventa un argomento indiscutibile per imporre delle politiche di austerità e di rigore.

Grazie a questa giustificazione lo stato spagnolo ha deciso una riduzione del 5% degli stipendi dei funzionari, il blocco delle loro retribuzioni e delle pensioni nel 2011, e la sostituzione di un solo pensionamento su dieci. A sua volta il governo portoghese ha bloccato gli stipendi della funzione pubblica fino al 2013 e ha confermato la soppressione di 73 mila posti nella pubblica amministrazione nei prossimi quattro anni. E mentre l'Italia pensa a imitare i suoi vicini, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato l'intenzione di riformare la costituzione per garantire la riduzione del deficit di bilancio.

E sempre in nome dell'euro e della difesa del patto di stabilità, la Commissione europea reclama un diritto di controllo sui bilanci nazionali prima che vengano esaminati dai rispettivi parlamenti.

In altre parole i dirigenti europei, nonostante la crisi greca, rifiutano di ammettere che il modello tedesco - fatto di compressione delle spese pubbliche e basato sulla riduzione del potere d'acquisto e della domanda interna - non possa essere sopportato ed esportato al resto dell'Europa. Ancora più grave, questi dirigenti fingono di ignorare che la fase di sviluppo del capitalismo finanziario e di liberalizzazione dei mercati ha raggiunto i suoi limiti. Ma mentre il G20 si riunisce questo mese a Toronto per incitare le banche a restituire parte delle somme faraoniche mobilitate per il loro salvataggio dal 2007, la prospettiva di una regolamentazione e di un nuovo modello di crescita rimane inaccettabile per i principi di Wall Street e della City.

D'altra parta la strumentalizzazione dell'euro dimostra fino a che punto le banche continuino a guidare le regole del gioco. Per capirlo meglio, bisogna tornare al famoso «venerdì nero» e ai giorni che lo hanno preceduto. «La tempesta che ha scosso i mercati quel venerdì è tutt'altro che fortuita - spiega un ex capo-economista di una banca francese. A organizzare tutto sono state le banche e i grandi fondi di investimento. Lo scopo era quello di obbligare i governi a reagire durante il week-end impedendo una grave svalutazione del debito greco, spagnolo e portoghese, cosa che avrebbe influito pesantemente sul bilancio delle banche e impedito a queste ultime di prestarsi denaro sul mercato interbancario».

Bce, discarica finanziaria Questa manovra ha avuto pesanti ripercussioni in quanto la Banca centrale europea (Bce) ha rinnegato uno dei suoi principi fondamentali, accettando di ricomprare i titoli del debito pubblico e privato di paesi fragili della zona euro (8). Una misura destinata a offrire un po' di ossigeno al mercato interbancario, ma che rimane molto criticata dalla Germania, dove si teme che questa iniziativa costituisca un precedente che trasformerà l'istituzione di Francoforte in un collettore di crediti poco sicuri. Questo rischierebbe di trasformare la Bce in una «discarica finanziaria» - sull'esempio della Federal Reserve americana, che dal 2008 ha comprato quasi 80 miliardi di dollari di attivi tossici. Eppure in passato la Bce e il suo presidente Jean-Claude Trichet avevano fatto grandi proclami sull'autonomia di questo istituto e sulla sua indipendenza. «La Bce non ha mai ceduto ai politici quando le chiedevano di ridurre i tassi o di dare la precedenza alla crescita economica rispetto alla lotta all'inflazione, ma questa volta ha fatto marcia indietro di fronte alla pressione delle banche», affermano stupiti i collaboratori di Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo. Bisogna precisare che 47 istituti bancari avevano scritto a inizio maggio alla Bce una lettera inviata anche ai governi europei per convincerla a sostituirsi al mercato interbancario, comprando titoli del debito sovrano. L'informazione, riferita dal Financial Times dell'8 maggio, non ha sorpreso gli osservatori, perché sono ormai diversi mesi che le banche europee chiedevano all'istituzione europea di procedere a un'iniezione di liquidità sul mercato.

Del resto i dirigenti europei farebbero meglio a prestare attenzione a quello che si trama nelle sale contrattazioni delle banche, dove analisti e traders puntano con più o meno discrezione su scenari di smembramento della zona euro. «La crisi non è terminata, tutti elaborano degli scenari di investimento puntando sull'uscita della Grecia dalla zona euro o sulla fine pura e semplice della moneta unica», conferma un banchiere parigino, convinto che sui mercati vi saranno altre turbolenze. Una cosa è certa, il soldato euro non è ancora in salvo.

note:
* Giornalista.
(1) Che ha voluto mantenere l'anonimato, come la maggior parte dei nostri interlocutori.
(2) Les Echos, Parigi, 11 maggio 2010. Si veda anche «Le jour où l'euro a failli mourir», Le Monde, 18 maggio 2010.
(3) Cnbc, 10 maggio 2010. Si veda anche Joseph Stiglitz, «Peut-on encore sauver l'euro?», Les Echos, 10 maggio 2010.
(4) Le Monde Economie, 11 maggio 2010, Henri Weber, Le Monde, 12 maggio 2010.
(5) Newsweek, New York, 24 maggio 2010.
(6) Le Monde, 16 maggio 2010, e Le Figaro, Parigi, 19 maggio 2010.
(7) Michel Aglietta, «La longue crise de l'Europe», Le Monde.fr, 17 maggio 2010.
(8) Al 20 maggio la Bce ha acquistato 16,5 miliardi di euro di debito sovrano e privato che il mercato non era più disposto ad assorbire.
(Traduzione di A.D.R.)

Fonte: http://www.monde-diplomatique.it/

Nessun commento:

Posta un commento