Quest’azione tattica si sdoppia in un’operazione strategica, quella di un movimento di smantellamento dell’Unione Europea a vantaggio di un’unione economica che copre i due continenti, in cui il progetto di creazione di un grande mercato transatlantico ne è la manifestazione più visibile. È in funzione di questo secondo obiettivo che si può comprendere l’atteggiamento della Germania che, sia per la lotta alla frode fiscale che per l’attacco contro l’euro, ha fornito un sostegno all’offensiva statunitense. Questo doppio atteggiamento è coerente con l’impegno privilegiato di questo Stato europeo nella realizzazione di un’unione economica transatlantica.
L’Unione Europea è stata costruita attorno la Germania e strutturata secondo i suoi interessi. Paese economicamente il più competitivo al momento dell’installazione del grande mercato, ha potuto, senza vincoli politici, senza governo economico e trasferimenti importanti verso le zone sfavorite, giocare pienamente i suoi vantaggi economici comparativi. Fino a quest’anno, la zona euro assorbe i tre quarti delle esportazioni tedesche. La Germania, dalle dichiarazioni dei suoi responsabili politici e dei suoi banchieri, così come dalla ripetuta ostentazione delle sue esitazioni, ha contribuito all’efficacia dell’offensiva contro l’euro. Per lei, i benefici di quest’azione sono immediati. Il calo della moneta comune permette di aumentare le esportazioni fuori dalla zona euro. In più, questo paese può meglio finanziare i suoi propri deficit. La crisi e la fuga verso la qualità che essa genera permettono alle obbligazioni tedesche di piazzarsi con un tasso di interesse ridotto.
Se, a lungo termine, la Germania dà l’impressione di tagliare il ramo su cui è seduta, vuol dire che ha deciso di cambiare ramo e che vuole inserirsi in un insieme più grande: il grande mercato transatlantico. La « costruzione europea » è ad un incrocio. Se fino ad ora, ha permesso uno sviluppo permanente della Germania, tale processo non più continuare secondo le stesse modalità. La UE non può uscire dalla crisi senza mettere in atto un governo economico che gestisca una politica economica comune, un’armonizzazione dello sviluppo e, per questo, senza assicurare dei conseguenti trasferimenti finanziari verso i paesi e le regioni sfavoriti. Una tale gestione politica è in completo disaccordo col semplice patto di stabilità promosso dalla Germania. La politica di bilancio di diminuzione accelerata dei deficit imposta nuovamente in nome di questo patto si farà a scapito del potere di acquisto delle popolazioni e non può realizzarsi senza una recessione economica. La zona euro non può più essere la sbocco privilegiato delle esportazioni tedesche. La Germania ha fatto la sua scelta: il grande mercato transatlantico e il mercato mondiale.
In luogo di ristrutturare il debito dei paesi deboli, cosa che avrebbe portato le banche a versare la loro parte, l’Europa ha messo in piedi due fondi di intervento. I 110 miliardi di euro di aiuto alla Grecia, così come i 750 miliardi di prestiti e garanzie, hanno come fine quello di sottomettere i paesi ricevitori alle condizioni del FMI, in cui gli USA hanno la maggioranza dei diritti di voto. In caso di depressione o anche di stagnazione economica, la politica di consolidamento delle spese pubbliche è votata al fallimento. I 750 miliardi previsti di aiuto serviranno a rimborsare le banche a scapito del potere di acquisto del contribuente e questo versamento alle istituzioni finanziarie aumenterà di molto la recessione.
La costruzione europea è stata imposta dagli Stati Uniti che, dopo la guerra, ne hanno fatto una condizione per le concessioni degli aiuti del Piano Marshall. È stata realizzata attorno la Germania, i cui interessi immediati erano complementari a quelli degli USA. L’attacco contro l’euro e l’operazione di smantellamento dell’Unione Europea risultano anche da un’offensiva lanciata dagli USA a cui ha dato il cambio la prima economia del vecchio continente, e ugualmente le istituzioni della UE. La Commissione e il Consiglio confermano così la loro partecipazione alla decomposizione dell’Unione ed alla sua integrazione in una nuova struttura politica ed economica transatlantica sotto la direzione americana, un ruolo già ricoperto attraverso i negoziati degli accordi sul trasferimento dei dati personali dei cittadini europei verso gli USA e sulla creazione di un grande mercato comprendente i due continenti.
(Traduzione di Matteo Sardini)
* Jean-Claude Paye, sociologo, autore de La fine dello Stato di diritto (Manifestolibri). Su “Eurasia” ha pubblicato Spazio aereo e giurisdizione statunitense (nr. 4/2007), Gli scambi finanziari sotto controllo USA (nr. 1/2009), La gerarchizzazione del sistema finanziario(nr. 1/2010).
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