Da qualche tempo le minacce all'Iran stanno salendo di intensità, con un'escalation che per Stati Uniti ed Israele, servilmente seguiti dall'Unione Europea, prevede solo due sbocchi: o la capitolazione politica di Teheran o l'aggressione militare.
La risoluzione 1929, votata dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 9 giugno scorso, con il grave consenso di Russia e Cina, ma con la significativa opposizione di Brasile e Turchia, ha rappresentato il passaggio politico decisivo per aumentare brutalmente la pressione sull'Iran.Questa risoluzione non solo è più dura delle altre quattro che l'hanno preceduta, ma contiene misure che mentre hanno ben poco a che fare con il presunto programma nucleare iraniano, appaiono tese ad indebolire economicamente e militarmente il Paese nella prospettiva di un'azione militare americano-sionista o sionista-americana.
Ripercorrendo il "modello iracheno", che con l'embargo, oltre ad affamare crudelmente un intero popolo, colpì pesantemente le capacità difensive di Baghdad, la risoluzione dell'ONU prevede il divieto assoluto per l'Iran di importare navi da guerra, sistemi di artiglieria, elicotteri da combattimento e missili. Divieto accompagnato dall'ispezione dei cargo diretti od in uscita dai porti iraniani.
La 1929 intende dunque colpire il diritto dell'Iran a difendersi, primo passo per distruggerne la sovranità nazionale ed arrivare al «regime change», cioè all'istallazione a Teheran di un governo se non proprio amico comunque acquiescente verso l'occidente.
E' grave che questa risoluzione sia arrivata dopo l'importante discorso tenuto da Ahmadinejad, agli inizi di maggio, alla Conferenza per la revisione del Trattato di non proliferazione nucleare. Un discorso nel quale il presidente iraniano ha proposto il disarmo nucleare globale a partire dal Medio Oriente, mettendo in luce la semplice verità che il disarmo nucleare non potrà mai avvenire se non inizieranno a rinunciare all'arma atomica i paesi che già ne possiedono enormi quantità.
Ed è grave che il Consiglio di Sicurezza non abbia voluto tenere in alcun conto l'accordo tra Iran, Turchia e Brasile per lo scambio di combustibile nucleare. Il fatto che questo accordo, firmato il 17 maggio da Ahmadinejad, Erdogan e Lula, sia stato subito affossato dalle potenze occidentali, dimostra la pretestuosità delle accuse al programma nucleare di Teheran.
Che la decisione del Consiglio di Sicurezza abbia preparato il terreno ad una pesante escalation è reso evidente dai fatti che sono seguiti. Mentre il direttore della Cia si è premurato di accusare l'Iran di avere già l'uranio per la bomba atomica proprio mentre si svolgevano i vertici del G8 e del G20 a Toronto, è toccato a Berlusconi dare l'annuncio che i membri del G8 «ritengono assolutamente probabile una reazione anticipata israeliana».
Nel frattempo una squadra navale americano-israeliana, guidata dalla portaerei Truman, si sta dirigendo verso il Golfo Persico, dove già stazionano alcuni sottomarini israeliani dotati di missili da crociera.
Un attivismo militare al quale si aggiungono le notizie sulla concessione dello spazio aereo ai bombardieri israeliani da parte dell'Arabia Saudita, che pare abbia concesso a Netanyahu anche una base logistica nel nord del paese; mentre altre notizie di movimenti di truppe speciali americane ed israeliane arrivano dall'Azerbaigian, nelle zone al confine con l'Iran.
Tutte queste notizie confermano che Stati Uniti ed Israele stanno agendo di concerto. Washington e Tel Aviv hanno sicuramente esigenze tattiche diverse, ma condividono - nei rispettivi ruoli - lo stesso disegno di dominio sull'intero Medio Oriente.
Non possiamo sapere quando scatterà l'attacco, a chi toccherà compiere la prima mossa, ma possiamo essere certi che se questa spetterà ad Israele, essa sarà avvenuta con il pieno consenso di Obama.
La volontà israeliana di dare fuoco alle polveri è stata resa evidente dallo stesso attacco alla Freedom Flotilla; un'azione di pirateria non solo contro gli aiuti umanitari al popolo assediato e resistente di Gaza, ma anche un messaggio intimidatorio nei confronti della Turchia e del nuovo ruolo che questo paese sembra intenzionato a svolgere nella regione.
Siamo dunque ad un passaggio critico dell'azione aggressiva dell'asse americano-sionista. Obama e Netanyahu di certo non comunicheranno in anticipo i loro piani, ma il pericolo di un attacco militare all'Iran va facendosi sempre più concreto.
Essi hanno messo il colpo in canna. Quando verrà esploso dipende da tanti fattori, non tutti prevedibili. La posta in gioco è enorme, non solo per il Medio Oriente. Per questo, anche se i tempi potrebbero dilatarsi in attesa che le pressioni politico-militari dispieghino fino in fondo i loro effetti, non è possibile rimanere inerti in attesa degli eventi.
E' il momento di tenere alta la guardia, di denunciare con forza le scelte guerrafondaie di Israele, degli Stati Uniti e dell'Europa, sostenute dall'indecente governo italiano che ha perfino giustificato la strage compiuta dagli israeliani sulla nave Mavi Marmara.
E' il momento di chiamare tutte le componenti del movimento contro la guerra ad un atto di responsabilità, a definire una propria linea di azione che prepari il terreno ad una vera mobilitazione.
E' il momento di riaffermare quel che abbiamo scritto nell'appello «Fermare l'aggressione all'Iran»: che bisogna batterci per smantellare l'arsenale atomico israeliano, per un Medio Oriente denuclearizzato, per la fine dell'assedio di Gaza, per la vittoria della causa palestinese.
Chiediamo a tutti una risposta per iniziare un'azione unitaria, coordinata ed efficace contro il pericolo di un'aggressione militare. Comprendiamo che l'incertezza sui tempi renda più difficile l'azione, ma qui si tratta di reagire al pericolo di quella che potrebbe diventare la più devastante guerra conosciuta dal Medio Oriente.
Fonte: Giù le mani dall'Iran
Per adesioni: giulemanidalliran@gmail.com
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