La riforma del lavoro al vaglio del parlamento, il governo perde l’appoggio di un deputato socialista
Zapatero si accinge a passare alla camera dei Deputati per l’approvazione della sua riforma del lavoro, che la settimana scorsa aveva approvato per decreto e che ora, sottoposta alla ratifica parlamentare, in caso di approvazione si potrebbe trasformare in un progetto di legge. In caso contrario il testo decadrebbe e cesserebbe di essere in vigore. Ma il premier spagnolo si gioca molto di più perché ancora una volta arriva a una votazione in una situazione limite, nella quale si dovrà andare alla conta dei voti nella speranza dell’appoggio in extremis di qualche partito su una riforma che non è di secondaria importanza, per cui, in caso di mancata approvazione, il governo potrebbe incassare una sconfitta politica tale da mettere in gioco la sopravvivenza stesssa della legislatura.
Una delle principali questioni che sono state affrontate nella riforma è quella dei costi del licenziamento, per la riduzione dei quali la strategia adottata dal governo e dal ministro del lavoro, Celestino Corbacho, si sviluppa su due direzioni: da una parte l’esecutivo vuole rendere più facile il licenziamento, introducendo ad esempio la possibilità di porre termine al rapporto per motivi economici. Attualmente circa l’80 per cento dei licenziamenti sono senza giusta causa, da questo derivano costi molto elevati e spesso contenziosi in tribunale: in tempo di crisi economica il prezzo pagato è troppo alto. Per rispondere alle esigenze delle imprese in difficoltà si introduce appunto questa fattispecie di licenziamento, che prevede 20 giorni di indennità per anno lavorato e un preavviso che da trenta scende a 15 giorni, applicabile a tutti i tipi di contratto, inclusi quelli già in vigore.
Dall’altra c’è l’intenzione di portare, come misura generale, i giorni di indennità di fine rapporto dai 45 per anno attualmente previsti nei contratti a tempo indeterminato, quantità tra le più alte in Europa, a 33, diminuendo il costo del licenziamento per le aziende. Un altro passo in questa direzione è l’impegno dello Stato a finanziare parzialmente la risoluzione del rapporto di lavoro, coprendo, tramite il Fondo di Garanzia Salariale, otto dei 33 giorni di indennità per ogni anno lavorato previsti dal contratto.
Le misure atte a facilitare la rescissione consensuale non sono piaciute però al presidente della Confederazione Spagnola delle Organizzazioni d’Impresa (CEOE), Gerardo Díaz Ferrán, che avrebbe voluto restringere maggiormente il margine di intervento del giudice nella risoluzione dei contenziosi, assegnando l’ultima parola alle imprese. Motivo per cui la CEOE ha fatto fallire il tavolo negoziale del 10 giugno.
D’altra parte il decreto prevede una misura di compensazione a favore dei contratti a tempo determinato, per cui a fronte degli otto giorni l’anno, attualmente previsti come indennità di licenziamento per questo tipo di contratti, il loro numero viene portato a dodici e si fissa a due anni il tetto massimo della durata complessiva per il contratto a termine.
Una misura adottata in favore dei giovani, poi, per favorire l’inserimento nel mercato del lavoro, è quella di elevare l’età limite per i contratti di formazione e apprendistato da 21 a 24 anni.
Infine una serie di soluzioni per favorire la flessibilità interna alle aziende hanno lo scopo, in caso di diminuzione dell’attività economica e crisi di settore, di compensare la perdita di competitività: è prevista uno snellimento delle procedure per i trasferimenti dei dipendenti e per cambiare il loro inquadramento organizzativo e salariale senza il bisogno di concordarlo con il lavoratore.
In ultimo, come misura per scoraggiare i licenziamenti, l’esecutivo spagnolo ha comunque introdotto alcune norme che vanno nel senso di una riduzione dell’orario di lavoro, sul modello tedesco.
Anche i sindacati, però, non hanno trovato la riforma del tutto di loro gradimento, tant’è che la scorsa settimana due dei maggiori sindacati spagnoli, CC OO e UGT hanno indetto uno sciopero generale da tenersi in autunno. A dire il vero già in maggio il governo aveva approvato quello che i sindacati avevano definito il più grande taglio alla spesa sociale nella storia della Spagna democratica, con il congelamento delle pensioni e tagli agli stipendi pubblici per il cinque per cento e il 15 per i funzionari. Tuttavia in quel caso non avevano indetto lo sciopero generale, essendo questo il primo del governo Zapatero.
Questo pomeriggio in parlamento bisognerà vedere, il PP che fino all'ultimo aveva mantenuto la riserva sulle intenzioni di voto, alla fine ha preso la decisione di astenersi. Sembra che Mariano Rajoy, il segretario popolare, volesse mantenere il più possibile una certa capacità di manovra.
D’altra parte Zapatero perde l’appoggio di uno dei suoi deputati, il socialista Antonio Gutiérrez, ex segretario generale delle Comisiones Obreras, uno dei sindacati che hanno proclamato lo sciopero generale, che non voterà a favore.
Molti dei gruppi parlamentari dei partiti nazionalisti si muovono tra l’astensione, maggioritaria, e il voto negativo, i baschi si asterranno.
In compenso il premier spagnolo ha incassato l’appoggio del presidente americano Obama, ma visto che non vota forse non basterà.
Alessandro Micci
Fonte: http://it.peacereporter.net/
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