All’esame del Senato un progetto di legge che dà al presidente il potere di bloccare l’attività del web. Lo scopo: proteggere gli Stati Uniti da possibili attacchi informatici. Ma gli internauti insorgono.
Immaginate una mattina, come tante altre. Avviate il computer, digitate un indirizzo familiare, come google.com. Ma qualcosa non va. Appare una schermata: «Connessione impossibile». Pensate a un errore, verificate il cavo, la linea ad alta velocità. Tutto ok. Provate con un altro sito yahoo.com. Niente. E un altro e un altro ancora. Sempre niente. Pensate a una falla circoscritta. Ma poi accendete la radio e scoprite che il silenzio del web è mondiale. E che a deciderlo è stato Barack Obama. Una scena degna di un film di Hollywood. Eppure tutt’altro che fantasiosa. Mentre il mondo parla della crisi dell’euro, della marea nera e, naturalmente, dei mondiali di calcio, il Senato americano esamina un progetto di legge rivoluzionario. E inquietante. Lo ha presentato il senatore democratico Joe Lieberman. Tratta della necessità di proteggere gli Usa da possibili attacchi informatici. Preoccupazione legittima e condivisa dallo stesso Obama. Gli attacchi telematici rappresentano una delle nuove armi delle cosiddette «guerre assimmetriche », che già caratterizzano alcuni conflitti geostrategici. Il problema, però, è che Lieberman, anziché sollecitare il potenziamento di barriere tecnologiche anti- hacker, propone una soluzione estrema, mai contemplata fino a oggi. Il potere di spegnere Internet. Con un clic. In caso di emergenza, il presidente degli Usa avrebbe la facoltà di obbligare i maggiori provider e i siti di interesse strategico (dunque praticamente tutti quelli più usati nel mondo come Google e Yahoo) a interrompere ogni attività.
Il progetto contempla anche la creazione di un «Centro nazionale per la sicurezza cibernetica e la comunicazione », che avrebbe facoltà di programmare tecnologie specifiche e di imporre misure di sicurezza. A tutti. Negli Stati Uniti, ovviamente. Ma, all’occorrenza, anche all’estero. Senza eccezioni, sotto la minaccia di sanzioni stratosferiche. Un provvedimento estremo, che qualcuno negli Usa ha già paragonato alle leggi più controverse varate da Bush nella guerra al terrorismo. Un provvedimento di cui, però, l’opinione pubblica non è consapevole. I grandi media non ne parlano benché l’iter parlamentare sia in fase avanzata. La Casa Bianca tace, chiaramente consenziente. Qualche senatore repubblicano si oppone, ma poche, isolate voci non sufficienti a svegliare la coscienza del Paese. Solo su Internet la notizia ha suscitato reazioni adeguate. Il popolo del web è preoccupato. Il provvedimento parla di «emergenza nazionale»; dunque non solo cibernetica. Potrebbe valere anche in caso di un attacco terroristico o una guerra. E allora, si chiedono in tanti, perché chiudere Internet e non la radio e la tv? Forse, insinua qualche blogger, perché negli Usa la rete web è tendenzialmente di destra, mentre i grandi media tradizionali sono più di sinistra e, comunque, più controllabili? Dubbi scomodi e, forse, velenosi, ma non infondati. Qualche mese fa proprio Obama si era schierato al fianco di Google contro la Cina, difendendo la libertà di espressione sul web. E qualche giorno dopo Hillary Clinton annunciò un programma per diffondere Internet senza limitazioni in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi sottoposti a dittatura. Ma negli Usa la Casa Bianca sembra intraprendere, almeno in parte, il cammino inverso; a braccetto di altre democrazie occidentali. Come quella australiana, ad esempio, dove è già attivo un filtro per monitorare siti scomodi. Il governo di Canberra di recente ha annunciato di volerlo rafforzare, trasformandolo in una sorta di muraglia cibernetica. Una notizia inquietante, di cui però i grandi media non hanno dato conto con l’eccezione di Tim e . Anche la Nuova Zelanda, dal primo febbraio, si è dotata di un filtro web e proprio da febbraio, per una curiosa coincidenza, l’accesso a siti scomodi, come Prisonplanet e Infowars, è diventato problematico. Ma il passo più audace lo ha compiuto la Gran Bretagna dove a maggio, alla vigilia delle elezioni, la Camera dei deputati, ancora una volta nel disinteresse generale, ha approvato una legge che consente di chiudere siti che violano «o potrebbero violare» la norme a tutela del copyright. Ora tocca a Obama, potenziale Grande Fratello. A fin di bene, naturalmente.
Attenti: Obama avrà il potere di spegnere internet…
I grandi media non ne parlano, l’opinione pubblica è distratta dalla finale di nba e dai mondiali di calcio, le news sono dominate dalla vicenda Bp-macchia di petrolio. Intanto però il Senato Usa sta esaminando una legge rivoluzionaria, presentata dal democratico Joe Lieberman, che darebbe a Obama il diritto di spegnere internet. La misura è contemplata nel pacchetto per combattere il cyberterrorismo, ma i pochi che ne hanno parlato la ritengono senza precedenti e potenzialmente liberticida, come scrivo sul Giornale oggi.
In caso emergenza, il presidente degli Usa avrebbe la facoltà di obbligare i maggiori provider e i siti di interesse strategico (dunque praticamente tutti quelli più usati nel mondo come Google e Yahoo) ad interrompere ogni attività. Il progetto contempla anche la creazione di un «Centro nazionale per la sicurezza cibernetica e la comunicazione», che avrebbe facoltà di programmare tecnologie specifiche e di imporre misure di sicurezza. A tutti. Negli Stati Uniti, ovviamente. Ma, all’occorrenza, anche all’estero.Senza eccezioni, sotto la minaccia di pesanti sanzioni.
Si tratta di misure giustificate? O, come temono in tanti, stiamo assistendo al tentativo di mettere sotto controllo la Rete?
Negli ultimi mesi per la prima volta ben tre democrazie hanno introdotto misure che in qualche misura limitano la libertà su Internet:
In Australia ad esempio, dove è già attivo un filtro per monitorare siti scomodi. Il governo di Canberra di recente ha annunciato di volerlo rafforzare, trasformandolo in una sorta di muraglia cibernetica. Una notizia inquietante, di cui però i grandi media non hanno dato conto con l’eccezione di “Time“. Anche la Nuova Zelanda, dal primo febbraio, si è dotata di un filtro web e proprio da febbraio, per una curiosa coincidenza, l’accesso a siti scomodi, come Prisonplanet e Infowars, è diventato problematico.
Ma il passo più audace lo ha compiuto la Gran Bretagna, dove a maggio alla vigilia delle elezioni, la Camera dei deputati, ancora una volta nel disinteresse generale, ha approvato una legge che consente di chiudere siti che violano «o potrebbero violare» la norme a tutela copyright.
Ora tocca a Obama, potenziale Grande fratello. A fin di bene, naturalmente.
Sono preoccupato. Fino a quando la Rete rimarrà uno spazio davvero libero?
di Marcello Foa
20/06/2010
Fonte: http://www.ilgiornale.it/
21 giugno 2010
Internet, blog e libertà: Obama vuole il tasto off
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