13 giugno 2010

Sankara: rivoluzione, ribellarsi ai vampiri della crisi

Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci avevano prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa coi finanziatori internazionali che erano i nostri fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito, quindi non possiamo pagare. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici. Anzi, dovremmo dire: assassini tecnici.
Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”. Un termine che si usa ogni giorno, come se ci fossero uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri. Questi 
Thomas Sankara 1finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dossier e movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e oltre. Nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, il debito è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a norme che ci sono completamente estranee: in modo che ognuno di noi diventi uno schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia di investire da noi con l’obbligo di rimborso.
Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è una questione d’onore. Il debito non può essere rimborsato, prima di tutto, perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, stiamone certi. Invece, se paghiamo, noi moriremo – stiamone egualmente certi. Quelli che ci hanno condotto all’indebitamento hanno giocato come al casinò: finché guadagnavano, non c’era nessun dibattito; ora che perdono al gioco, esigono il rimborso. E si parla di crisi. No: hanno giocato, hanno perso. E’ la regola del gioco, e la vita continua.


Non possiamo rimborsare il debito: perché non abbiamo di che pagare, perché non siamo responsabili del debito, perché – al contrario – gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue, che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica, ma non si parla mai del Piano Africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane, quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco: così poco, che non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato.
Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diverranno più coscienti dei loro diritti, di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di qualche individuo. C’è crisi, perché qualche individuo deposita nelle banche estere delle somme colossali, che basterebbero a sviluppare l’Africa. C’è crisi, perché di fronte a queste ricchezze individuali che si possono nominare, le masse popolari si rifiutano Thomas Sankara 4di vivere nei ghetti. C’ècrisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio: equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario, a scapito delle nostre masse popolari. No, non possiamo essere complici. Non possiamo accompagnare nelle loro azioni assassine quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli. Sentiamo parlare di “club”: Club di Roma, Club di Parigi, Club di dappertutto. Sentiamo parlare di Gruppo dei Cinque, dei Sette, dei Dieci, magari dei Cento o che so io. E’ normale che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo.
Facciamo in modo che, a partire da oggi, anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Solo così potremo dire, oggi, che rifiutando di pagare non avremo intenzioni bellicose. Al contrario: intenzioni fraterne. Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune.
Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri: tra il ricco e il povero non c’è la stessa Thomas Sankara 2morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato: c’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano.
Non possiamo accettare che ci parlino di dignità, di merito per quelli che pagano e di perdita di fiducia per quelli che non pagano. Noi dobbiamo dire, al contrario, che è normale oggi che si preferisca riconoscere che i più grandi ladri sono i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatuccio: per sopravvivere, per necessità. I ricchi: sono loro che rubano al fisco, alle dogane. Sono loro che sfruttano il popolo.
La mia non è quindi provocazione o spettacolo: dico soltanto quello che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe, qui, che il debito venisse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono uscire subito, prendere il loro aereo e correre alla Banca Mondiale, a pagare. Non vorrei si prendesse la proposta del Burkina Faso come un’idea avanzata da “giovani”, senza maturità ed esperienza. Non vorrei nemmeno si pensasse che solo i rivoluzionari parlano così.
La mia, ripeto, non è una provocazione. Vorrei che la nostra conferenza adotti la necessità di dire chiaramente che non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso: questo, per evitare che ci facciamo assassinare individualmente. Se il Burkina Faso, da solo, si rifiuta di pagare il debito, io non sarò più qui alla prossima conferenza. Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, potremo evitare di pagare, consacrando le nostre magre risorse allo sviluppo.
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma, è contro un africano. Non è contro un europeo o un asiatico: è contro un africano. Perciò, sulla scia della risoluzione del problema del debito, dobbiamo trovare una soluzione al problema delle armi. Io sono un militare e porto un’arma, ma vorrei che ci disarmassimo. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo usare le Thomas Sankara 7sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia, e un mercato immenso: da nord a sud, da est a ovest.
Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i coltellacci che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, anziché importarlo.
Il Burkina Faso è venuto a esporre qui la Cotonnade, prodotta e tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione e io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga dall’Europa o dall’America. Non faccio una sfilata di moda, voglio solo dire che dobbiamo accettare di vivere africano: è il loro modo di vivere liberi e di vivere degni. Patria o morte, vinceremo.
08/6/10
(Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, estratti del discorso pronunciato alla Conferenza di Addis Abeba il 29 luglio 1987: meno di tre mesi dopo, Sankara sarà assassinato. Info: www.thomassankara.net).





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