14 giugno 2010

SENZA VISIONE STRATEGICA

Alla fine, di fronte al diktat della Fiat in merito al mantenimento o meno dello stabilimento di Pomigliano, i sindacati si sono divisi. Alcuni, i soliti, hanno accettato le condizioni poste dall’impresa; altri, anche qui i soliti, hanno rifiutato e proposto la solita lotta con i soliti rituali. Adesso gli oltre 5000 lavoratori di quello stabilimento verranno chiamati ad esprimersi secondo l’altro solito rito della “libera e democratica” scelta se accettare o meno. Quanto “è bello e buono e giusto” rifarsi alla base, lasciare esprimere “liberamente” i diretti interessati, che “lucidamente e freddamente” valuteranno se conviene loro accettare o meno l’accordo – non proposto ma imposto – dall’impresa.


Mi guardo bene dall’esprimere un qualsiasi giudizio sulle condizioni pretese da Marchionne. Non ho sotto mano alcun testo; non l’ho visto pubblicato da qualche parte, corredato di pareri favorevoli e contrari, salvo le usuali lapidarie “sentenze” contrapposte, in cui ognuna delle parti accusa l’altra di irresponsabilità. Inoltre, se anche fossi in possesso del testo, mi guarderei bene dal perdere tempo a leggerlo, perché non sono il diretto interessato, non vivo e lavoro in quel luogo, non sarei in grado di valutare mille particolarità. In definitiva, la scelta meno peggiore è in effetti quella di sottoporre la proposta di accordo (non precisamente contrattato) a coloro che ne devono fare le spese.

Come “privato cittadino”, che ha qualcosa da rilevare in merito alla faccenda, mi permetto solo alcune poche considerazioni. Intanto, la più ovvia è che almeno non si parli di libera scelta, di “democrazia dal basso”. Se sarà si, è ovvio che lo sarà per paura e per non perdere ogni possibilità di lavoro. Se sarà no, lo sarà per rabbia e disperazione. Difficile dire, in questo secondo caso, se la Fiat manterrebbe il suo diktat oppure ricomincerebbe a trattare, magari non facendo più finta di non chiedere nulla allo Stato, cioè al Governo attuale, confidando in quei settori della maggioranza che non vogliono perdere voti, ecc. Data comunque la situazione di effettiva crisi che esiste e non è un’invenzione di nessuno, è impossibile che i lavoratori evitino una fregatura. La questione fondamentale non è però questa.

Si ripetono ormai da anni e anni metodi di lotta sempre eguali e privi di prospettive: per i lavoratori (ma perché questa antica dizione relativa ai soli salariati e soprattutto a quelli delle mansioni operaie o quanto meno esecutive?), per i “ceti medi” (calderone vago e indistinto, in cui ci sono ricchi professionisti e assai meno agiati lavoratori detti autonomi), per gli imprenditori, categoria dove Marchionne e Montezemolo sono mescolati ai piccoli e laboriosi “Pinco e Pallino”; e via dicendo. Un tempo si poteva fingere, sbagliando in modo non clamoroso ed esiziale, l’esistenza della lotta di classe, in ogni caso ormai degradata a conflitto capitale/lavoro (già sintomo di profonda involuzione teorica e pratica), nel mentre si combattevano battaglie meramente sindacali dai contorni tuttavia delineati almeno all’ingrosso. Oggi, tutto è spezzettato in mille rivoli e si rischia di mettere vari raggruppamenti sociali gli uni contro gli altri; e magari pure il nord contro il sud. Siamo a buon punto; d’altronde è ciò che alcuni ambienti dei vertici sociali desiderano poiché così viene meglio condotta la solita e ben nota politica del divide et impera.

Tuttavia, deve essere chiaro – mentre per i ritardatari non lo è per nulla – che tale politica è una preoccupazione pur sempre minore per quelli che chiamiamo dominanti. Molto più assillante è per essi la lotta tra i diversi gruppi in cui si dividono, lotta che questi gruppi sono obbligati a condurre con sempre maggiore accanimento perché pungolati da quella che i loro ideologi, per celare la realtà dello scontro, definiscono competizione nel “mercato globale”. Ovviamente “libero” e dove vigerebbe il principio “vinca il migliore”, il più utile alla società, in definitiva ai “consumatori”; perché, per questi meschini e miserabili personaggi che si paludano da scienziati, la società non è altro che l’insieme dei consumatori.

Oggi stiamo invece sempre più entrando nella situazione del conflitto tra gli “scomparsi” Stati nazionali; per meglio dire, tra alcuni di questi che stanno assurgendo alla “dignità” di potenze. Siamo cioè sempre più nell’ormai da noi mille volte segnalato multipolarismo. Un conflitto del genere scompagina i vari gruppi dominanti all’interno delle diverse società nazionali, dei vari paesi. In questo conflitto, inoltre, il “libero mercato”, con la sua “bella e virtuosa” concorrenza, è completamente sovrastato – ma in modo tenuto gelosamente nascosto dai miserabili venduti ai dominanti: in Italia, l’intero ceto politico, quello intellettuale, i giornalisti e altra paccottiglia varia – dal conflitto pensato e attuato da decisivi centri strategici, che controllano la forza e gli apparati della sua estrinsecazione all’interno come all’esterno di ogni paese.

In un contesto di tal genere, la lotta dei poveri lavoratori di Pomigliano, come quella a Termini Imerese, come quella di mille altre imprese piccole e grandi, come quella dei precari in preda a preoccupazioni sempre più assillanti, è solo un insieme di disperse battaglie, di difficile unificazione se non nello stanco e ormai stantio rito dello sciopero “generale”; accettato, anche se con la bocca storta, dai gruppi dominanti poiché in definitiva fa loro il solletico, eccita gli animi di chi è coinvolto negativamente da scelte di questo tipo, e consente a tali gruppi di deviare l’attenzione delle “masse” dalle loro attuali manovre tattiche per meglio disporsi, da predominanti o da “privilegiati” servi di questi ultimi (i subdominanti), nel contesto del reale e mastodontico scontro che si svolgerà sul piano mondiale, in forme diverse e con differenti gradi di violenza, più o meno mascherata o aperta.

Per chi ancora ragiona, si apre ormai uno scenario completamente diverso dal passato. La ben nota “gente” è ancora torpida; gli intellettuali, ormai al minimo della loro moralità e intelligenza, esercitano l’infame ruolo di freno alla comprensione del “nuovo che avanza”. Spetta per il momento a ristretti gruppi di pensare questo “nuovo”. Massima simpatia, dunque, per i lavoratori di Pomigliano come per tanti altri che si troveranno via via nelle stesse condizioni di “prendere o lasciare”, comunque sempre sconfitti in ultima analisi nel loro rapporto con i dominanti. Tuttavia, critica feroce e senza pietà ai cialtroni (sindacalisti in testa, nessuno escluso!) che sulle loro disgrazie camperanno ancora per un po’ di tempo. Senza una nuova strategia globale – che nulla ha a che vedere con la “globalizzazione” dei mercati – non c’è alcuna salvezza. Non vi sarà nemmeno una “rivolta di Spartaco”, neppure una “guerra dei contadini”; solo scaramucce, solo delusioni, solo un “tirà a campà”, una continua e sfibrante ritirata gestita da chi mangia alle spalle dei “lavoratori”; e non sto parlando di chi “estrae da loro plusvalore”, ma proprio di quei saprofiti che vivono degli ultimi bagliori di un crepuscolo indecoroso.

Se mai non si comincerà a voltare pagina, a rendersi conto che il vecchio “movimento” è già morto da molto tempo, mai si inizierà il nuovo percorso. E non si venga a rimproverare il sottoscritto perché non si interesserebbe della sorte di coloro che non decidono nulla, se non di quale angolazione chinare la testa, se non di prenderla in c….. accettando la vaselina oppure “pretendendo” una vera crema di protezione anale. Se non si prende atto della nuova epoca di conflitto tra potenze e si continuerà a seguire i politicanti e i sindacalisti, qualsiasi etichetta si appiccichino – i quali ancora pretendono di parlare “agli operai” o ai “lavoratori” (termine edulcorato per intendere la stessa mistificazione) con il linguaggio da “quarto stato” – poca strada si farà; mai visto nessuno camminare con la testa costantemente girata all’indietro e arrivare egualmente a destinazione.
(di GLG il 12 giugno ’10)

Fonte: http://conflittiestrategie.splinder.com/

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