22 giugno 2010

L’avanzata dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) può cambiare il mondo?

Chems Eddine Chitour, Mondialisation.ca 23 aprile 2010
Chitour, l’autore del presente articolo, è il solito esponente intellettuale francese rimasto orfano dell’ormai appassita grandeur di Parigi. Sebbene utile come articolo d’informazione, esso medesimo, nella parte finale, fa da spia del retropensiero di questi presunti nemici della globalizzazione e dell’imperialismo.  Come ha mostrato Hillard, attaccando abusivamente alle vesti lise della grandeur français, l’etichetta di vittima del ‘Gran Complotto Mondiale’ stampata negli ambienti dell’estrema destra statunitense. L’americanizzazione, o meglio, la subordinazione pro-USA negli ambienti intellettuali europei, è oramai assai profonda. E forse fa parte del suo codice genetico. Tant’è che anche chi si dipinge da contestatore dell’ordine esistente, come appunto Chitour, in fondo rivela che un reale e radicale mutamento di questo stesso ordine gli incute paura. Da ciò, per esempio, l’auspicata possibilità che i paesi del Maghreb aderiscano all’iniziativa Euro-Med, sostenuta casualmente da Sarkozy. O l’enfasi sulle differenze sull’idea di democrazia presenti tra i BRIC, o il sottilmente desiderato ‘timore’ dell’autore che i BRIC si adeguino al Club occidentale, tradendo gli ideali No-Global, in verità sì propagandati da Lula, ma non di certo dagli altri componenti al BRIC. Oppure, non è impossibile riconoscere una riflessione, implicita e freudiana, sulla posizione della Francia nel mondo che si va formando, nella battuta fatta da Chitour sulla Russia quale ‘grande potenza per un giorno’ a Praga, durante la firma per lo START III. Raffronto dettato dalla smemoratezza che colpisce anche i francesi.
Glucksmaniano con riserva, Chitour è pronto a indicare i BRIC presso le masse diseredate, i paesi del quarto mondo e i fans No-Global del primo mondo, quali potenze ‘traditrici e insensibili alle esigenze delle masse diseredate’ e ‘uguali all’occidente’, e di perciò immeritevoli di una qualsiasi simpatia. Anzi, come nella favola orwelliana delle ‘Fattoria degli animali’, Mosca, New Delhi, Beijing e Brasilia stanno per diventare dei maiali globalizzatori, dei nemici da combattere. Proprio come avviene presso certi nostrani campi, questo processo e questo passaggio di consegne viene privato della dignità di ‘evento rivoluzionario’, sebbene proprio tale passaggio di consegne geo-economico e geopolitico, sia in sé rivoluzionario e persino epocale. Questi post-gollisti, guidati senza entusiasmo dal ‘fratello maggiore’ Sarko, infatti, dimenticano il De Gaulle pronto a tendere una mano all’URSS e persino alla Cina maoista, pur di far parte della comunità internazionale; mentre oggi, i vari Chitour e Hillard preferiscono mestamente pararsi a lutto, nell’assistere all’eclissi di questo occidente.

In definitiva, i finti critici dell’imperialismo o del monopolarismo occidentocentrico, si smascherano sempre più numerosi con l’avanzare del mutamento dell’equilibrio mondiale. Mutamento la cui punta avanzata è rappresentata dalla formazione di un blocco economico-diplomatico in Eurasia. C’è il sospetto che l’impero statunitense troverà, in futuro, alleati e simpatizzanti negli ambiti intellettuali e culturali più impensabili.
Alessandro Lattanzio


Il capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il comunismo è l’esatto contrario.”
Dichiarazione attribuita a Nikita Krusciov (ex primo segretario del Pcus)


Questa boutade del primo segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica dei tempi d’oro, riassume l’ambiguità della nuova strategia dei paesi emergenti che vogliono prendere le regole del capitalismo e darle un volto umano. Il loro “successo” attuale lo dovrebbero al mercato e al fatto che, come altri paesi in via di sviluppo, devono passare attraverso una fase di ascesa? O è l’avvento di un mondo nuovo che possa servire da esempio ad altri paesi in via di sviluppo? Pertanto, il loro coordinamento per ‘contrastare’ i paesi industrializzati occidentali e le loro opinioni, è per noi segno di un cambiamento che, a differenza della filosofia anti-global, si fonda sul concreto. Così, apprendiamo che a Brasilia, il 15 aprile i paesi più importanti di quattro continenti, hanno deciso di farsi carico del loro destino e di non essere al rimorchio della globalizzazione. La loro dichiarazione, che è stata curiosamente ignorata dai media occidentali, sfida sostanzialmente l’eredità di Bretton Woods.

La dichiarazione finale è un severo monito. Leggiamo: “i leader del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), hanno concluso il loro vertice il 15 aprile a Brasilia, chiedendo la riforma del sistema finanziario internazionale, chiediamo che la riforma della ripartizione dei voti nella BM sia soddisfatta entro il prossimo convegno di primavera“, hanno dichiarato i leader in un comunicato emesso dopo il vertice. Il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale dovrebbero “risolvere i loro problemi di deficit di legittimità“, dice la nota. La riforma delle strutture di governance di queste istituzioni necessitano di un adeguamento sostanziale del loro sistema di ripartizione dei voti a favore delle economie emergenti e dei paesi in via di sviluppo, una modifica necessaria per far corrispondere il loro potere decisionale con la loro importanza nell’economia globale, ha aggiunto la dichiarazione.

Il BRIC spera che la riforma delle quote del FMI sia raggiunta al vertice del G20, previsto per il mese di novembre.

Quasi 3 miliardi di persone

I quattro paesi hanno inoltre sottolineato la necessità di adottare un metodo di selezione aperta e senza distinzione di nazionalità, per l’assegnazione delle posizioni di vertice di FMI e BM. Il BRIC chiede ai governi di tutto il mondo di boicottare il protezionismo commerciale, in qualunque forma. “Noi ci impegniamo e sollecitare tutte le nazioni a boicottare tutte le forme di protezionismo commerciale, e a lottare contro le restrizioni dissimulate contro il commercio.” Hanno inoltre sottolineato la necessità di mantenere la stabilità delle valute di riserva mondiale. “Sottolineiamo l’importanza di mantenere la stabilità relativa delle principali valute di riserva e la sostenibilità delle politiche di bilancio, per realizzare una forte crescita economica equilibrata e a lungo termine“, hanno detto i leader (1).

Quali sono quei paesi che osano sfidare l’Ordine Mondiale occidentale? Sono chiamati “BRIC“, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina. Questi quattro paesi sono popolati da un totale di 2,8 miliardi di persone (rispettivamente 190 milioni, 140 milioni, 1,15 miliardi e 1,3 miliardi di euro) o il 40% dell’umanità. Questi paesi hanno una superficie di 38,400 milioni di kmq (Brasile 8,5, Cina 9,6, India 3,2, Russia 17). Il PIL pro capite rimane basso: 10.400 dollari in Brasile, 6.500 in Cina, 3.000 in India e 15.300 in Russia, con una media di 5.800 dollari, rispetto agli Stati Uniti (45.000 dollari). Essi rappresentano il 15% del prodotto interno lordo mondiale, ma soprattutto il 50% della crescita economica in corso. (…) Così, il mercato della telefonia mobile in India è cresciuta annualmente di 25 milioni di consumatori tanto quanto un mercato come la Spagna … In Cina, ogni anno, sono costruite tante centrali elettriche quante la Francia ne ha costruito in 40 anni … (l’equivalente di un reattore nucleare ogni cinque giorni). Non c’è da stupirsi, quando sappiamo che la Cina ha il doppio di prospettive di crescita rispetto agli Stati Uniti. La Francia cresce meno di Brasile, Messico e India. Il primo paese europeo è … al 9° posto dietro ai quattro del BRIC.(2)

Il mondo economico attuale è dominato dalle potenze industriali occidentali, più 3 paesi non-occidentali: Giappone, Cina e India. Questi due paesi sono casi particolari, in quanto se i paesi sono ricchi, la popolazione è povera – ecco le 15 maggiori potenze economiche nel 2009, in miliardi di dollari, a pari potere d’acquisto (fonte: FMI). PIL in miliardi di dollari è la seguente: Stati Uniti d’America: 14033, Cina: 8511, Giappone: 4123, India: 3469, Germania: 2773, Regno Unito: 2159, Russia: 2146, Francia: 2087, Brasile: 1974). Nel 2014, i 15 paesi della top15 non cambieranno. Ma la Cina (14.438) tallonerà gli Stati Uniti (16927), l’India (5238) supererà il Giappone (4907), la Francia (2422) sarà sorpassata dal Brasile (2484).

Ma questi Paesi stanno crescendo molto rapidamente: nel 2020, il PIL dovrebbe più che raddoppiare ed essere grande quanto quello di Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Canada, Spagna combinati… Infine, se continuano le stesse proiezioni, nel 2020, se nessun nuovo paese farà il suo debutto nella top15, il mutamento sarà enorme: gli Stati Uniti (21253) verranno superati dalla Cina (27223), la Francia (2896) sarà superata dal Messico (2746), l’Indonesia (1829) avrà sorpassato la Spagna (1757) che sarà seguita subito dopo da Turchia, Iran, Australia, Polonia e Arabia Saudita. Il PIL pro capite sarà di circa 16000 dollari in Brasile, 27000 in Russia, 7000 in India, 20 mila dollari in Cina (media: 14300 dollari pro capite). La Cina sarà la più grande economia, probabilmente la principale potenza militare e politica. Il Brasile avrà superato la Francia … essa stessa seguita dal Messico, e da altri paesi emergenti (3).

“Mentre la maggior parte delle economie principali, scrive Keith Bradsher, lottano per uscire dalla recessione, le esportazioni dalla Cina salgono. Ciò riflette, in particolare, l’abilità con cui questo Paese opera sulle incongruenze delle regole del commercio internazionale, al fine di stimolare la sua economia a scapito di altri Stati. La Cina ha lanciato un’offensiva su due fronti: la lotta al protezionismo dei suoi partner e sforzarsi di mantenere lo yuan debole. Questo paese ha raggiunto, nel 2009, un avanzo commerciale di 198 miliardi di dollari rispetto al resto del mondo. Compra dollari e altre valute – per centinaia di miliardi di dollari ogni anno – con la vendita dello yuan, svalutando la propria moneta e stimolando le esportazioni. Al vertice di Pittsburgh dell’11 marzo, che ha riunito i leader del G20, Barack Obama tornò alla carica chiedendo a Pechino di istituire uno “cambio di tassi più conforme al mercato”. Tre giorni dopo, la risposta del primo ministro Wen Jiabao suonava come una sfida. Denunciando la pressione internazionale, s’è scagliato contro “la pratica di puntare il dito contro altri paesi” e ha detto che lo yuan rimarrà “stabile””. (4)

Segno che non manca mai: un rapporto di ricerca appena pubblicata il 18 aprile, prevede che il più grande esportatore mondiale, nel 2020, almeno raddoppierà il volume del suo commercio estero. Così il commercio estero della Cina ha registrato una ripresa nel primo trimestre, con una crescita del 44,1%, per 617,85 miliardi di dollari.

Per Robert B. Zellick, Assistente del Segretario di Stato degli Stati Uniti, la globalizzazione deve riguardare tutti, piccoli e grandi, in nome del multilateralismo. Ascoltiamolo: ‘Dopo aver assistito alla scomparsa del “secondo mondo” nel 1989, dopo la caduta del comunismo nel 2009, abbiamo visto la fine di quello che fu chiamato il “terzo mondo”: noi viviamo oggi una nuova economia mondiale multipolare, in rapida evoluzione, in cui alcuni paesi in via di sviluppo vengono trasformati in potenze economiche, mentre altri paesi stanno diventando dei poli di crescita, mentre gli altri faticano ancora a sfruttare pienamente il loro potenziale nel nuovo sistema – in cui il Nord e Sud, Est e Ovest hanno cessato di essere l’espressione del destino economico, per essere solo i punti cardinali della bussola’. La crisi economica globale ha dimostrato l’importanza del multilateralismo. Sull’orlo dell’abisso. Un G-20 ristrutturato nato dalla crisi ha mostrato di essere in grado di agire rapidamente per ripristinare la fiducia. (…) Il mondo avrà un aspetto molto diverso tra dieci anni, quando la richiesta verrà non solo dagli statunitensi, ma dall’intero pianeta. La quota dell’Asia nell’economia globale, espressa a parità di potere d’acquisto, è aumentata costantemente, passando dal 7% nel 1980 al 21% nel 2008. I mercati azionari asiatici rappresentano ormai il 32% della capitalizzazione del mercato mondiale, cosa che li mette davanti agli Stati Uniti (30%) e all’Europa (25%). L’anno scorso, la Cina ha superato la Germania come più grande esportatore del mondo. Ha anche superato gli Stati Uniti come più grande mercato automobilistico del mondo. Questo sviluppo non riguarda solo la Cina e l’India. In termini di potere d’acquisto, la quota del mondo in via di sviluppo nel PIL mondiale, è aumentato dal 33,7% del 1980 al 43,4% del 2010. E’ probabile che i paesi in via di sviluppo conosceranno una crescita sostenuta nei prossimi cinque anni e oltre (5).

“Il Medio Oriente è una importante fonte di capitali per il resto del mondo e, sempre più, una piattaforma di scambi di servizi per l’Asia. Le riserve ufficiali dei paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo ammontava a più di 500 miliardi alla fine del 2008, e le attività dei fondi sovrani sono stimate 1000 miliardi di dollari. Se il Nord Africa sarà in grado di superare le sue divisioni storiche, potrà partecipare al processo di integrazione Euro-Med, legato sia al Medio Oriente che all’Africa. Se è impossibile risolvere i grandi problemi mondiali senza la partecipazione dei paesi in via di sviluppo e delle economie di transizione, è altrettanto impossibile sostenere che i più grandi di loro – Brasile, Russia, India e Cina (Bric) – rappresentino tutti. Questo vale per una serie di sfide che si presentano all’orizzonte: l’acqua, le malattie, l’immigrazione, demografia, stati falliti e paesi emergenti dai conflitti. Quando consideriamo il G-20 come un nuovo forum, dobbiamo fare attenzione a non imporre una rigida gerarchia nel nuovo mondo. Sarebbe meglio che il G-20 funzioni come un “gruppo di coordinamento” di una rete di paesi e istituzioni internazionali. (…) Prestare orecchio ai problemi dei paesi in via di sviluppo non è più una questione di carità o di solidarietà: è nel nostro interesse. Questi paesi sono i motori della crescita ed importatori di beni e servizi prodotti dai paesi sviluppati. È arrivato il momento di abbandonare i concetti superati di paesi sviluppati e di terzo mondo, di leader e seguaci e di donatori e richiedenti. Dobbiamo sostenere la nascita di nuovi poli di crescita che vadano a vantaggio di tutti.” (5)

Per Pierre Haski, questi quattro paesi hanno punte di forza e delle divergenze: “Questi quattro Paesi hanno una cosa in comune: con grandi popolazioni, le loro economie stanno sperimentando una forte crescita da almeno un decennio, superiore a quello dei paesi industrializzati, e la loro quota sull’economia globale continua a crescere. La loro caratteristica è anche quello di aver sviluppato relazioni commerciali tra di essi, di aver fatto decollare il commercio “Sud-Sud”, fino ad allora inesistente. Ma ciò che li unisce, in particolare, è il desiderio comune di spezzare l’egemonia occidentale sulle leve del mondo. Le discussioni si concentrano sull’idea di creare una valuta alternativa al dollaro, o almeno la possibilità di far pagare i loro scambi bilaterali in moneta locale, senza passare attraverso la moneta dello Zio Sam (…) Per la prima volta questi Paesi “emergenti” sono in grado di prendere parte, a pieno titolo, alla definizione delle regole del gioco internazionale, invece di subire quelle decise dagli occidentali. Alla vigilia del vertice, il sito russo RIA Novosti si è avventurato, nella sua edizione francese, a un gioco di parole: “Brasilia, un sommet de Bric et de broc (un vertice di cianfrusaglie)” (come si dice in russo?). Non c’è da stupirsi se la Russia ha aggiunto questo tocco di ironia per evidenziare l’incoerenza di questo nuovo club. La Russia è infatti un ex superpotenza, che una volta viveva alla pari degli Stati Uniti, e ha rivissuto un po’ questo stato di “Grande” al momento della firma del nuovo trattato Start (Strategic Arms Reduction) con Barack Obama. Solo gli Stati Uniti e la Russia hanno (ancora) il potenziale di distruzione nucleare del pianeta. Per Mosca, il BRIC è un mezzo, un marciapiede per riconquistare l’influenza scomparsa con l’URSS” (…).

Il forte divario

“(…) In effetti, non mancano le contraddizioni in seno al Quartetto, a partire dai loro sistemi politici. I Bric hanno tuttavia la possibilità di creare delle coalizioni ad hoc, ed estenderle (difatti, le regole del gioco internazionale sono già cambiate, privando l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, della loro leadership esclusiva sul mondo. Ma questo non basta per cambiare il mondo. E più in generale, la questione rimane aperta su quanto peso avranno sul mondo: la loro ambizione è semplicemente quello di essere al tavolo del festino senza cambiare le regole del gioco, o sono portatori di altri valori? Coloro che sperano che l’indebolimento degli Stati Uniti lascia il posto a un “altro mondo” potranno ben essere delusi.” (6)Vediamo questi paesi di nuova industrializzazione (NIC), divenuti Bric dare l’impressione di voler gettare via la loro ideologia originaria. La vertigine del potere fa si che siano portati, a volte, a fare dei grandi balzi, dando l’impressione di essere sempre contro la globalizzazione, pur aderendo all’ambito capitalista; il tipico esempio è, ricordiamo a gennaio, il Lula che ha trafficato tra Porto Alegre e Davos. La sua esitazione è un segno che non inganna, il “sacro fuoco” dell’anti-globalizzazione ha fatto posto alla “realpolitik” della macina del capitale. Ciò significa che se la causa dei poveri è orfana. Così va il mondo.

Note
1. Les Bric appellent à la réforme du système financier international. Courrier Int. 16.04.2010
2. Martin Kurt: Définition BRIC
3. Principali potenze economiche
4. Keith Bradsher: Comment la Chine dope ses exportations. 2010/04/08
5. Robert B.Zoellick: La fin du tiers-monde?, Washington DC, 14 aprile 2010
6. Pierre Haski, Les Bric peuvent-ils changer la face du monde, Rue 89 16 Aprile 2010

Professore Chems Eddine Chitour all’Ecole Polytechnique
Traduzione di Alessandro Lattanzio


Fonte: http://sitoaurora.xoom.it/wordpress

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