8 giugno 2010

Mamma li turchi, Israele obbliga gli Usa a scegliere

di Joseph Halevi
TESTIMONI DI GAZA - L'assalto alla «Mavi Marmara» incrina i rapporti fra Ankara e Tel Aviv. Una decisione per pesare sull'alleato americano
«I legami tra Turchia e Israele non torneranno mai più come prima»: il presidente turco accende l'ira delle piazze, nelle ore in cui una folla a Istanbul seppellisce i morti della «Mavi Marmara». Sui corpi ferite al cranio, al torace, alle gambe: le teste di cuoio israeliane hanno sparato ad altezza d'uomo. Mentre Tel Aviv rifiuta la commissione «indipendente» chiesta da Washington


La violenza dell'attacco israeliano alla nave della «Freedom flotilla» battente bandiera turca ha ulteriormente aggravato i rapporti tra i due paesi. È impossibile che il governo israeliano non si rendesse conto di questo fatto al momento di dare il via all'abbordaggio, quindi il deterioramento delle relazioni israelo-turche è stato in gran parte una scelta politica.Tel Aviv ha avuto ottimi rapporti con Ankara soprattutto quando questa era sotto l'egida dei militari. Sul piano politico-ideologico, l'aspetto più significativo è dato dal rifiuto israeliano di riconoscere come un genocidio i massacri perpetrati nel 1919 dai militari nei confronti degli armeni. Il declassamento della vicenda armena da genocidio a «evento grave» venne espresso pubblicamente da Shimon Peres quando era ministro degli esteri nel governo di Ariel Sharon. Nel campo politico-militare, ma con importanti ramificazioni economiche, il complesso militar-industriale israeliano si estende fino al territorio turco nel quale ha ottenuto svariati contratti di vendita di armamenti missilistici, sistemi elettronici e di modernizzazione dell'aviazione.


L'arrivo di Erdogan al potere ha alquanto cambiato i termini dei rapporti, soprattutto da circa due anni a questa parte. Ankara rimaneva disposta a servire da canale di comunicazione tra la Siria e Israele, esprimendo contemporaneamente una netta opposizione al blocco di Gaza e alla guerra lanciata da Israele a cavallo tra il 2008 e il 2009. Durante l'ultimo anno, due eventi hanno contribuito a un ulteriore allontanamento tra le rispettive posizioni. Il primo riguarda l'attività di Ankara per un dialogo con l'Iran e l'opposizione a nuove sanzioni. Il secondo ha toccato un argomento tabù: si tratta della richiesta turca di includere l'arsenale nucleare israeliano nei progetti di denuclearizzazione del Medioriente, compreso l'Iran. Questa richiesta costituisce per Israele un gravissimo anatema perché bloccherebbe la sua politica regionale, volta a rendere il Medioriente teatro operativo nucleare di Tel Aviv.

Un articolo apparso sul Sunday Times di domenica 30 maggio e ripreso in Israele da Haaretz illustra perfettamente il quadro operativo che Israele sta costruendo. Il giornale britannico riporta che nel Golfo Persico navigano tre sottomarini israeliani muniti di missili Cruise a testata nucleare che, secondo un ufficiale, di bordo possono funzionare come delle vere e proprie basi d'assalto.

L'arrembaggio alla nave turca è avvenuto in un contesto in cui Ankara, sull'Iran, non gioca più il gioco di Israele né quello degli Stati uniti. Con la sua azione, Tel Aviv ha posto Washington nella difficile situazione di dover scegliere tra Israele e la Turchia. E Washington ha optato incondizionatamente per il primo, cancellando l'Obama del discorso del Cairo, quello del «nuovo inizio» con l'Islam. Non solo: Obama sta venendo eliminato dalla politica mediorientale che invece passa dalle mani del vicepresidente Joe Biden e del segretario di stato Hillary Clinton, che formano l'ala più filoisraeliana del governo di Washington. Tuttavia è probabile che i primi a non essere felici della scelta pro-israeliana di Washington siano proprio i militari statunitensi. Lo stesso generale David Petraeus, il capo del comando centrale che sovrintende alle operazioni in Iraq e in Afghanistan, aveva tempo fa affermato che la situazione dei palestinesi complica le cose per gli Usa in tutto l'arco che va dal mondo arabo fino al Pakistan e all'Afghanistan. A riprova di ciò, in una testimonianza alla Knesset (il parlamento) effettuata martedì, il capo del Mossad Meir Dagan ha sostenuto che in molti ambienti di Washington Israele viene visto come un peso piuttosto che come un bene (asset) strategico.

Fonte: ilmanifesto.it

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