23 giugno 2010

“Strategia della tensione” contro la Turchia

E’ in corso una guerra, “a bassa intensità” ma alquanto sanguinosa, che sembra non attirare più l’interesse dei grandi mass media occidentali: quella che flagella la zona di confine tra Turchia e Iraq, da una parte e dall’altra, con attentati terroristici e bombardamenti.
Nell’ultimo fine settimana, 12 militari turchi uccisi; lo stesso giorno dei fatti della Mavi Marmara un missile lanciato dai terroristi a Iskenderun aveva provocato 7 morti fra i marinai di quella base navale. Bombardamenti turchi sulle basi del PKK situate nel nord Iraq hanno causato decine di vittime.

Dalla fine dell’inverno si sono moltiplicati gli attacchi terroristici del PKK, che ora minaccia di colpire indiscriminatamente tutte le città turche: questa la risposta alle indubbie aperture manifestate dal governo di Ankara sulla questione curda a partire dalla prima affermazione elettorale dell’AKP, nel novembre 2002.

Che senso ha tutto questo ? I grandi mass media occidentali tacciono il fatto è che è in atto una vera e propria guerra sotterranea contro la Turchia, una campagna destabilizzante che ha lo scopo di creare crescenti difficoltà e infine di rovesciare – con le buone o con le cattive – il suo legittimo governo.

Il PKK, come apertamente sostengono diversi analisti turchi (citiamo fra le testimonianze più recenti Nurullah Aydın, dell’Università di Ankara, e Sedat Laçiner, dell’Organizzazione di ricerca strategica internazionale), e come attestano le deposizioni di numerosi guerriglieri catturati, viene di fatto gestito dagli ufficiali dei servizi israeliani presenti in gran numero nell’Iraq settentrionale, attivi da oltre un decennio anche nei confronti della sezione iraniana (il PJAK) del movimento terrorista. Significativa al proposito è la dichiarazione del leader storico del PKK, Őcalan (detenuto nelle carceri turche) di non essere più a capo dell’organizzazione.

Trasferiamoci negli Stati Uniti e leggiamo nelle cronache di questi giorni passaggi importanti della campagna destabilizzante in atto contro Ankara.
Nel corso di una conferenza stampa esponenti del Congresso sia repubblicani che democratici hanno criticato la Turchia, membro della NATO, per aver sostenuto la flottiglia umanitaria che ha tentato di forzare il blocco israeliano su Gaza e per non avere invece sostenuto le sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza contro l’Iran.
Il democratico Eliot Engel ha definito queste due prese di posizione “scandalose”.

Il numero tre dei repubblicani alla Camera dei Rappresentanti, Mike Pence, ha argomentato che “se la Turchia resta così vicina all’Iran e così ostile a Israele, ne subirà le conseguenze”, dicendosi anche pronto a riconsiderare la sua posizione a proposito della risoluzione del Congresso – attualmente “congelata” ma minacciosamente incombente - sul “genocidio armeno”.

“Sono convinto che il sangue dei morti della Mavi Marmara sia responsabilità dei turchi”, ha rincarato il repubblicano Peter King, mantre la democratica Shelley Berkley ha ammonito che “la Turchia non merita di essere membro della Comunità europea finchè si comporta in modo simile all’Iran più che a una nazione europea”.

I parlamentari democratici newyorkesi Carolyn Maloney, Christine Quinn e Charles Ranger da parte loro si stanno battendo perché a due provocatori della Mavi Marmara – Ahmet Faruk Unsal e Kevin Ovenden – sia impedito di recarsi negli Stati Uniti per portare la loro testimonianza su quanto accaduto nel corso del tragico assalto israeliano; d’altra parte – ha sottolineato il democratico Jerrold Nadler – “l’IHH, l’organizzazione che ha costituito la flottiglia, è conosciuta da gran tempo per i suoi legami con organizzazioni terroristiche quali Hamas e Al Quaida. E’ responsabilità del nostro governo assicurarsi che terroristi e loro fiancheggiatori non siano autorizzati a entrare negli Stati Uniti”.

Non si tratta di prese di posizione isolate o minoritarie: il senatore Joe Biden, Vicepresidente americano, aveva prontamente affermato “il diritto di Israele a intervenire”, nel caso della flottiglia antiembargo, si tratta dello stesso Biden convinto fautore della frammentazione dell’Iraq e della necessità di rilanciare il tema del “genocidio armeno” contro e oltre la stessa volontà di Jerevan, disponibile al dialogo con Ankara.

La lobby israeliana determinante nel Congresso USA, insomma, agisce in piena sintonia con l’intelligence di Tel Aviv ben radicata nella “Valle dei lupi” irachena.
I turchi, sottoposti a un’inedita strategia della tensione, ne tengano conto.

p.s.: la Reuters comunica ora (22 giugno) che “una bomba piazzata lungo la strada è esplosa oggi al passaggio di un autobus che trasportava dei militari e le loro famiglie a Istanbul, provocando la morte di quattro persone, dopo che l’esercito turco ha intensificato le operazioni contro i ribelli curdi”.
Aldo Braccio, esperto di Vicino e Medio Oriente, è redattore di Eurasia


Fonte: http://www.eurasia-rivista.org/

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