«LA moratoria annunciata da Obama non basta. Non si può stare fermi ad aspettare che il peggio sia passato per poi ricominciare a tirar fuori il greggio come se niente fosse. Siamo di fronte al più grave disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti: è l' ultimo campanello di allarme, ignorarlo vorrebbe dire assumersi una responsabilità gravissima. Quando si agisce contro la natura, la natura si ribella». Pascal Acot, ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique e storico dell' ecologia, guarda con grande preoccupazione a quello che sta succedendo nel Golfo del Messico, mentrei tentativi di arrestare la marea nera falliscono uno dopo l' altro.
Obama è al centro di critiche sempre più pressanti. Come giudica le sue responsabilità? «Gravi. Il presidente degli Stati Uniti, pochi giorni prima dell' esplosione nella piattaforma della Bp, aveva deciso di dare il via libera alle trivellazioni petrolifere anche in ecosistemi estremamente delicati assicurando che si trattava di tecnologie sicure. Le cronache dimostrano che non solo la sicurezza sbandierata non esisteva, ma non c' era nemmeno la capacità di fronteggiare l' emergenza. In altre parole è stato assunto un rischio grave senza avere un piano B, senza sapere come affrontare un eventuale incidente».
L' estrazione del petrolio in mare a grandi profondità non è l' unica tecnologia accettata senza la garanzia di poter controllare le conseguenze di un incidente. Chernobyl ha mostrato l' altra faccia del rischio energetico.
«Credo che questa sia l' occasione per discutere il rapporto tra le grandi lobby industrialie la politica. Che il presidente della principale potenza mondiale si trovi oggi impotente di fronte alla devastazione di uno dei principali ecosistemi degli Stati Uniti mostra il paradosso di cui parlo. Cosa sarebbe successo se un danno del genere fosse stato prodotto da un paese ostile?»
Obama comunque ha reagito con un pressing progressivo nei confronti della Bp.
«Ma, di fronte al ripetersi degli insuccessi e all' aggravarsi del disastro, non ha preso direttamente in mano la situazione. Il timone dell' emergenza resta nelle mani di chi ha prodotto il disastro. E i rappresentanti delle associazioni ecologiste e i biologi accorsi per aiutare le operazioni di pronto soccorso ambientale sono stati allontanati. C' è stata insomma una regia che ha cercato di nascondere il più possibile, dal punto di vista delle immagini e delle notizie, quanto sta succedendo sulle coste della Lousiana e della Florida».
Quanto ci vorrà prima di cancellare gli effetti della marea nera?
«La natura ha una formidabile capacità di recupero. Ma non ha fretta. Cinquanta o cento anni sono una frazione temporale irrilevante dal punto di vista geologico. Per noi è diverso. Cancellare per decenni la ricchezza di quegli ecosistemi è un danno enorme sia dal punto di vista ambientale che economico». Chi pagherà? «Bella domanda. Finora le compagnie petrolifere sono riuscite, a forza di appelli e rinvii, a pagare una quota irrisoria dei danni prodotti. Questa volta siamo di fronte a una catastrofe più grave di quella dell' Exxon Valdez in Alaska. Un flusso di petrolio compreso tra 1 e 4 milioni di litri al giorno si continua a riversare su uno degli ecosistemi più belli e, finora, protetti degli Stati Uniti. La patina oleosa distrugge la vita marina e gli uccelli, la frazione più pesante del greggio si inabissa creando una coltre di asfalto che seppellisce i fondali , le sostanze tossiche risalgono la catena alimentare costringendo a fermare l' attività di pesca in tutta la zona. Non credo che gli americani accetteranno a cuor leggero di pagare il conto».
Lei dice che la moratoria non basta. Cosa dovrebbe fare Obama?
«Deve prendere una decisione coraggiosa. Nel Golfo del Messico ci sono riserve di greggio comprese tra 3 e 15 miliardi di barili. Lasciamole dove stanno. L' industria del petrolio minaccia la salute del mare e quella dell' atmosfera: bisogna passare a un nuovo modello energetico basato sull' efficienza e sulle fonti rinnovabili. Solo così si riuscirà a prevenire sia altri disastri di questo tipo sia le conseguenze ancora più preoccupanti del caos climatico crescente prodotto soprattutto dall' uso dei combustibili fossili». - ANTONIO CIANCIULLO
Repubblica — 31 maggio 2010 pagina 9 sezione: POLITICA ESTER
Fonte: repubblica.it
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