3 giugno 2010

UN CASO SYLVIA STOLZ IN AFRICA, PROTAGONISTA IL REGIME TUTSI-RUANDESE

di Claudio Moffa

Prima o poi “doveva” accadere: un avvocato della difesa del Tribunale penale internazionale per il Ruanda – informa John Philpot, avvocato canadese che fu fra i primi giuristi internazionalisti a denunciare gli abusi del TPIR - è stato arrestato il 28 maggio scorso nella capitale ruandese, con l'accusa di “negazione del genocidio”. Si tratta di Peter Erlinder, Professore di Diritto al William Mitchell College of Law (USA), e difensore della candidata alle prossime elezioni presidenziali ruandesi Victoire Ingabire Umuhoza, avversaria dunque dell'attuale presidente Paul Kagame, il leader tutsi vincitore della guerra civile del 1994.


Perché “doveva” accadere? Per tre motivi, primo perché il crimine di negazione del genocidio è contenuto nientemeno nella Costituzione varata dal regime di Kagame dopo la vittoria sui nemici Hutu, la stragrande maggioranza della popolazione ruandese costretta alla fuga in massa (più di due milioni di profughi nei campi di accoglienza dell'allora Zaire e della Tanzania) di fronte all'avanzata vittoriosa dei “genocidiati”. Peggio dunque che nella Francia della legge Gayssot, o della Germania, il reato di negazione di un evento storico (come tale discutibile in punto di diritto da chicchessia) è contenuto nella Carta fondamentale dei principi del nuovo stato posbipolare ruandese: qualcosa che non sembra lasciare spazio – semmai ci fosse la volontà, cosa di cui si può dubitare – a una elusione di fatto della legge da parte della Corte davanti a cui sarà trascinato l'avvocato Erlinder.

Secondo, perché anche se Kagame appare per ora saldamente in sella - grazie al pugno di ferro esercitato in quindici anni di potere e a un sistema istituzionale che garantisce di fatto il controllo del Parlamento all'elité tutsi (attraverso un uso retorico delle minoranze e delle corporazioni cui spettano sempre in base alla costituzione quote rilevanti di seggi: dagli handicappati, ai docenti universitari, alle donne) - le prossime elezioni potrebbero rivelare qualche sorpresa. Non fosse altro che per una ragione di numeri, vale a dire il carattere assolutamente minoritario della popolazione tutsi (13% del totale, contro l'85% di Hutu): un po' come accadde all'epoca della decolonizzazione quando la monarchia tutsi venne rovesciata grazie all'applicazione del criterio democratico un uomo un voto. Ecco dunque l'operazione arresto di Erlinder, un ottimo modo di creare un clima di terrore in vista delle prossime elezioni: tanto più che la stessa accusa è stata rivolta al concorrente elettorale di Kagame, Victoire Ingabire Umuhoza.

Terzo, perché l'immagine internazionale di Kagame è vieppiù offuscata rispetto agli anni caldi del “genocidio” del 1994: anche se ha ottenuto riconoscimenti internazionali per la sua “opera di pace” (fra gli altri anche da Prodi), Kagame e il suo regime dittatoriale sono stati a poco a poco raggiunti da strali mediatici non indifferenti,che quanto meno hanno incrinato il dogma delle responsabilità della tragedia del ‘94 e del genocidio a senso unico di quell'anno (“genocidio dei tutsi e degli hutu moderati ad opera degli hutu estremisti”: come se i cadaveri degli hutu cosiddetti moderati fossero distinguibili da quelli cosiddetti estremisti). E' venuta a galla la verità sull'attentato del 6 aprile all'aereo con a bordo i due presidenti hutu del Ruanda e del Burundi: varie testimonianze di ex componenti dei servizi di sicurezza di Kagame, hanno infatti attribuito la paternità dell'azione che diede il via ai massacri incrociati, proprio all'attuale presidente ruandese. Una inchiesta della magistratura francese si è indirizzata nello stesso senso.

Quanto al dopo-94, le pesantissime accuse di un giudice del nuovo regime - ruynde, costretto all'esilio in Belgio dopo aver subito minacce da parte dei servizi di sicurezza del regime tutsi – e i processi in massa di 761.000 hutu, tutti accusati di “genocidio” da tribunali popolari ad hoc – i gachacha - hanno fatto emergere il vero volto del regime: è significativo fra l'altro che quest'ultima notizia sia stata diffusa in Occidente anni fa da una agenzia di stampa svizzera già notoriamente pro-tutsi, Hirondelle.

Infine il TPIR: come denunciato già negli anni Novanta da Philpot e da altri giuristi internazionalisti, si tratta di un obbrobrio giuridico-internazionalista che dovrebbe essere immediatamente chiuso (anche perrché nel frattempo è stata creata la Corte Penaile Internazionale permamente) creato dal Consiglio di Sicurezza senza alcuna vera partecipazione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite: imputati solo gli Hutu, finanziamenti privati (e alla sola Procura) delle Fondazioni Rockfeller e Soros, ratio temporis ritagliata in modo da escludere le azioni di guerra del FPR tutsi dal 1990 al 1993 nel nord del Ruanda, e quelle successive post 31 dicembre 1994 (cosicché la strage di Kibeho del 95, compiuta dai tutsi ai danni di decine e forse centinaia di hutu, è rimasta e rimarrà impunita); controllo dei testimoni pro-imputati da parte del regime di Kigali, con diritto di negazione del visto per recarsi dal Ruanda a Arusha, sede del Tribunale. Fu questo uno degli aspetti che condusse alla protesta persino Carla Del Ponte, Procuratore generale del TPIR, per queste sue “perplessità” e riserve dimissionata senza troppi complimenti dall'allora segretario Kofi Annan .

Resta comunque, anche in sé, tutta la gravità dei due episodi denunciati dall'avv. Philpot: il primo, una candidata alle elezioni presidenziali che avendo gettato nel piatto del dibattito politico gli eventi del 1994 – eventi che lo stesso regime usa in campagna elettorale, ma nella loro versione ufficiale di Verità di Stato indiscutibile – viene per questo indagata: da cui fra l'altro la classica domanda ben nota in Francia, Germania e in generale in Europa: quali sono i confini fra “negazione” e “revisione”? Secondo, il suo avvocato arrestato, come l'avv. Sylvia Stolz in Germania: siamo all'inaudito, all'evidente violazione dei principi fondamentali della civiltà giuridica internazionale. Ma come possiamo noi europei, come fanno i nostri governanti, come fanno i nostri giuristi e accademici, a protestare per questo abuso ai danni della democrazia che avviene nella lontana Africa, se fino ad oggi hanno taciuto consimili abusi giudiziari in casa loro?


Fonte: http://www.claudiomoffa.it/

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