4 giugno 2010

Israele e l’apartheid: un matrimonio di convenienza e di potenza militare

di Chris McGreal - 26/05/2010
E’ un rapporto che non è mai esistito. Tenuto nell’ombra, è stato nascosto dietro accordi segreti e disinformazione, che hanno mascherato la cooperazione militare così come i contratti per le estrazioni minerarie.

Ma quando i riflettori di tanto in tanto si posavano su una delle alleanze più segrete e durature degli anni del dopoguerra, Israele si affrettava a minimizzare i suoi profondi legami militari con il Sudafrica dell’apartheid, come nient’altro che una necessità di sopravvivenza senza un barlume di affinità ideologica.


Ma come viene mostrato nel libro di Sasha Polakow-Suransky, “The Unspoken Alliance”, questo rapporto è andato oltre la semplice convenienza. Per anni, dopo la sua nascita, Israele è stato apertamente critico nei confronti dell’apartheid e ha cercato di costruire alleanze con gli stati africani di recente indipendenza, durante gli anni ‘60.

Ma dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973, i governi africani iniziarono a vedere lo stato ebraico come una nuova potenza coloniale. Il governo di Gerusalemme andò in cerca di nuovi alleati e ne trovò uno nel governo di Pretoria. Tanto per cominciare, il Sudafrica stava già fornendo l’ossido di uranio necessario per la costruzione di una bomba atomica.

Entro il 1976, i rapporti erano cambiati così profondamente che il primo ministro del Sudafrica, John Vorster, non solo poté recarsi in visita a Gerusalemme, ma anche accompagnare i due leader più importanti di Israele, Yitzhak Rabin e Shimon Peres, al memoriale dell’Olocausto della città per piangere i sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti.

Né sembra che gli israeliani siano rimasti turbati dal fatto che Vorster era stato un aperto sostenitore di Hitler, un membro dell’ organizzazione sudafricana fascista e violentemente antisemita “Ossewabrandwag”, e che era stato internato durante la guerra come simpatizzante nazista.

Rabin accolse Vorster come una forza a sostegno della libertà, e ad un pranzo brindò agli “ideali condivisi da Israele e dal Sudafrica: le speranze nella giustizia e nella coesistenza pacifica”.

Qualche mese dopo, nell’annuario del governo sudafricano si leggeva che i due paesi avevano una cosa in comune sopra le altre: “Essi sono entrambi situati in un mondo prevalentemente ostile abitato da popolazioni di colore”.

Un anno prima, Israele si era offerto di vendere testate nucleari al Sudafrica.

“I leader del Sudafrica desideravano ardentemente un deterrente nucleare – che essi credevano avrebbe costretto l’Occidente a intervenire in loro aiuto, nel caso in cui Pretoria avesse mai subito minacce – e la proposta israeliana rese possibile quell’obiettivo”, dice Polakow-Suransky nel libro.

L’accordo non venne concluso, ma ci furono molte altre forme di cooperazione nello sviluppo di tecnologia militare.

Alon Liel, un ex ambasciatore israeliano a Pretoria, e direttore della sezione sudafricana del ministero degli esteri israeliano negli anni ‘80, una volta rivelò al Guardian che il Sudafrica, ricco di giacimenti auriferi, aveva finanziato alcuni progetti militari congiunti, e Israele aveva fornito gran parte delle conoscenze tecniche.

“Dopo il 1976, ci sono stati stretti rapporti tra gli apparati di sicurezza dei due paesi e i loro eserciti”, ha detto. “Noi fummo coinvolti in Angola come consulenti dell’esercito [sudafricano]. C’erano ufficiali israeliani laggiù che collaboravano con l’esercito. Il legame era molto stretto”.

Alla fine degli anni ‘70, il Sudafrica era il maggior compratore d’armi di Israele.

Polakow-Suransky afferma che i rapporti erano così stretti che intorno alla metà degli anni ’70 il Sudafrica eliminò le misure di sicurezza che avrebbero dovuto regolare il modo in cui l’ossido di uranio veniva utilizzato, allo scopo di impedire la proliferazione nucleare.

In cambio, Israele inviò in Sudafrica 30 grammi di trizio, che fornisce ulteriore potenza esplosiva a un ordigno termonucleare. La consegna era sufficiente a costruire diverse bombe atomiche, cosa che il Sudafrica fece negli anni successivi.

Peres ebbe un’importanza cruciale in questo rapporto. Al tempo della visita di Vorster a Gerusalemme, egli era ministro della difesa, e fu primo ministro per due volte durante gli anni ’80, mentre si consolidava l’alleanza con il governo dell’apartheid.

Cinque anni fa, gli chiesi se fosse moralmente accettabile avere legami col regime bianco di Pretoria.

“Nessuna decisione si prende tra due situazioni perfette. Ogni scelta viene fatta tra due alternative imperfette. A quei tempi il movimento dei neri del Sudafrica era con [il leader dell’OLP Yasser] Arafat, contro di noi. In realtà, non avevamo molta scelta. Ma non abbiamo mai smesso di denunciare l’apartheid. Non siamo mai stati d’accordo con quel regime”, mi disse.

E un uomo come Vorster?

“Non lo metterei nella lista dei migliori leader dei nostri tempi”, disse Peres.

Eppure i tentativi, da parte di un uomo che ora è presidente di Israele, di dipingere il suo paese come obbligato ad accettare con riluttanza un’alleanza con un nemico ideologico sono compromessi delle sue entusiastiche affermazioni di ideali comuni.

Nel 1974, Peres scriveva al ministro dell’informazione sudafricano, Eschel Rhoodie, parlando delle “fondamenta incrollabili del nostro comune odio per l’ingiustizia e del nostro rifiuto di sottomerci ad essa”.

Peres non era il solo. Rafael Eitan, l’ex capo di stato maggiore israeliano, era tra quelli che parlavano della propria simpatia per le posizioni del regime bianco sudafricano. Lo stesso fece Ariel Sharon, il futuro primo ministro.

Alla fine degli anni ‘80, mentre cresceva la pressione internazionale sul governo dell’apartheid, la leadership politica di Israele decise che era tempo di battere in ritirata. Ma Liel ha affermato che l’apparato di sicurezza si oppose.

“Quando arrivammo alla svolta dell’86-87, allorché il ministro degli esteri disse che avremmo dovuto passare dai bianchi ai neri, l’apparato di sicurezza disse: ‘Voi siete pazzi, è un suicidio’. Dicevano che non avremmo avuto le industrie militari e dell’aviazione se non avessimo avuto il Sudafrica come nostro principale cliente a partire dalla metà degli anni ‘70; e che il Sudafrica aveva salvato Israele. Il che, tra parentesi, probabilmente è vero”, ha detto.

Versione originale:
Chris McGreal (corrispondente del Guardian da Washington; in precedenza è stato corrispondente da Gerusalemme e da Johannesburg; in passato aveva lavorato per la BBC)

Fonte: http://www.guardian.co.uk/
Link: http://www.guardian.co.uk/world/2010/may/23/israel-apartheid-south-africa-nuclear-warheads


Fonte: http://www.medarabnews.com/2010/05/25/israele-e-l’apartheid-un-matrimonio-di-convenienza-e-di-potenza-militare/

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