3 giugno 2010

La nave silurata: molti dubbi e punti oscuri

di Antonio Fiori*
Erano parecchi anni ormai che non si assisteva a un'escalation così preoccupante nelle relazioni tra le due Coree. Tutto ha avuto inizio il 26 marzo quando la corvetta sudcoreana Cheonan è affondata al largo di Baengnyeong, l'isoletta più settentrionale di pertinenza della Corea del Sud, con 46 morti. Il 20 maggio un team congiunto di esperti australiani, statunitensi, britannici e svedesi ha presentato un rapporto in cui afferma che l'affondamento, avvenuto a causa di un siluro lanciato da un sottomarino, è da ritenersi opera della Corea del Nord. Pyongyang ha respinto l'accusa come «pura invenzione» e, proprio ieri, il rapporto, definito «non obiettivo» e «manipolato dagli Usa». Da allora sono volate parole dure, Seoul ha fatto appello al «diritto all'autodifesa», i rapporti tra le Coree sono ridotti al minimo e la tensione continua a salire.


L'assordante silenzio della Cina, uno dei cinque paesi con diritto di veto nel Consiglio di sicurezza e storico alleato della Corea del Nord, non contribuisce a smorzare i toni. I cinesi hanno tenuto un profilo molto basso nella vicenda, rifiutandosi di condannare Pyongyang, chiedendo un'assoluta scrupolosità nell'inchiesta e ribadendo a tutte le parti la necessità di prudenza. Ci sono, tuttavia, alcuni punti oscuri in tutta questa vicenda, che il rapporto congiunto non ha chiarito. In primo luogo, il team di investigazione ha stabilito che 2-3 giorni prima dell'affondamento, due sottomarini nordcoreani (un Sango e uno Yono) avrebbero lasciato la loro base nel Mare dell'Est per farvi ritorno solo due giorni dopo l'attacco. Lo Yono sarebbe quello responsabile dell'attacco alla Cheonan. Tale eventualità, tuttavia, era stata scartata in varie sedi ufficiali sia dai sudcoreani («... quest'eventualità è molto remota» ha detto Kim Tae-young al parlamento il 2 aprile), sia dagli americani («non abbiamo notato nessun movimento inusuale da parte nordcoreana», diceva il 28 marzo il generale Usa Sharp, comandante delle forze congiunte).

Inoltre, proprio mentre la Cheonan - imbarcazione «specializzata»nell'intercettazione di sottomarini - era impegnata in operazioni di sorveglianza della cosiddetta Nll (Northern Limit Line, la linea di demarcazione navale tra le due Coree, spesso origine di dissidi), era in corso un'esercitazione navale congiunta di forze Usa e sudcoreane. Sembra difficile che un sottomarino nordcoreano abbia deciso di infilarsi in questa fitta rete proprio in quel frangente, con una infinitesimale possibilità di riuscita. Se così fosse, e se avesse veramente affondato la Cheonan, allora il sistema di sicurezza sudcoreano - tanto lodato - avrebbe fallito in pieno, ponendo anche un grande interrogativo sulle reali capacità di tutela dei propri cittadini. In secondo luogo, molti dubbi sono sorti sulla «prova» per eccellenza, il siluro, anch'esso ripescato dal mare in condizioni tali da poter essere esaminato. Sulla sezione di propulsione di questo siluro, a riprova della paternità nordcoreana, c'è segnato a mano con un pennarello «numero 1» (il bon in coreano). Alcuni analisti però hanno fatto notare (timidamente peraltro, visto il clima) che i nordcoreani non utilizzano tanto il termine bon, ma - per indicare la stessa cosa - il termine ho. Del resto, un siluro nordcoreano, di cui i sudcoreani entrarono in possesso alcuni anni fa, recava proprio la scritta 4-ho. Quando il team di inchiesta è stato interpellato su questo, ha risposto elusivamente che si farà in modo da mettere a confronto la calligrafia dei due reperti per giungere a una conclusione certa. È necessario notare, infine, come negli ultimi tre giorni la Corea del Nord abbia chiesto ben due volte di poter inviare propri specialisti, che avrebbero potuto analizzare anch'essi i reperti e, magari, rendersi conto di avere sbagliato: la risposta seccata del ministro della difesa sudcoreana è stata che sarebbe «come chiedere ad un assassino di valutare la condotta della polizia».

Insomma, sembra che questa volta la Corea del Nord sia stata messa alle strette dall'opinione pubblica internazionale. Come potrà reagire un paese già in condizioni di estrema precarietà allorché verranno meno tutti gli aiuti su cui parte della sua popolazione faceva riferimento? Ciò potrebbe forse indebolire il regime, o - più verosimilmente - renderlo ancora più minaccioso e incontrollabile. Certo la scarsità di rifornimenti obbligherà Pyongyang a fare ancor più affidamento sulla Cina, che si confermerà sempre più il vero attore strategico del nord-est dell'Asia, il solo in grado di farsi ascoltare dal regime nordcoreano.

La tensione per la prima volta è palpabile anche a Seoul. Di sicuro il presidente Lee Myung-bak ha definitivamente affondato un decennio di sforzi compiuti dai defunti presidenti progressisti Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun, di aprire alla Corea del Nord cercando di coinvolgerla in un sistema di relazioni più complesso e articolato: ora della Sunshine Policy non resta traccia. Il 2 giugno ci sarà un importante appuntamento politico in Corea del Sud, le elezioni locali: le proiezioni non lasciano scampo ai progressisti, per i quali la disfatta sembra sicura. Il vantaggio dei conservatori sembra essersi nettamente allargato proprio in coincidenza con la pubblica reprimenda di Lee alla Corea del Nord. Non è detto, quindi, che questa volta la Corea del Nord non abbia fatto un enorme piacere al «traditore» Lee Myung-bak.

*(Ricercatore dell'università di Bologna, insegna "Politica e istituzioni della Corea")


Fonte: ilmanifesto.it

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